Valentina Bonci – Valentina Bonci è Business developer in Adv Media Lab, con un particolare focus sulla sua business unit Compethink.
Formatore certificato AIF e amministratore di Form-Action Srl , Riccardo Manieri ha dedicato la sua carriera allo studio dell’ ascolto nel mondo del lavoro .
Attraverso la formazione, supporta agenti di commercio, imprenditori e manager , aiutandoli a sviluppare competenze chiave per migliorare la comunicazione e la gestione dei team.
A intervistarlo è Valentina Bonci , Brand + sales representative di Adv Media Lab. Modera l’intervista Grazia Sigismondo , Social media & community marketing consultant di Adv Media Lab.
Grazia Sigismondo: Buongiorno a tutti, sono Grazia Sigismondo, Social Media e Community Marketing Consultant di Adv Media Lab. Oggi ho il piacere di presentarvi Riccardo Manieri, formatore certificato IF e amministratore di Form Action. Il suo focus è l’ascolto nel mondo del lavoro e, attraverso la formazione, aiuta agenti di commercio, imprenditori e manager a migliorare la comunicazione e, di conseguenza, la gestione del proprio team.
Lo intervista Valentina Bonci, Brand & Sales Representative di Adv Media Lab. Non mi dilungo oltre e lascio la parola a Valentina per le prime domande su Ascoltare il cliente.
Valentina Bonci: Grazie mille, Riccardo. Buongiorno a te e a tutti. È un piacere fare questa intervista. Abbiamo già avuto modo di confrontarci e devo dire che gli spunti emersi leggendo il tuo libro e parlando con te sono davvero tanti.
A proposito, ho qui Ascoltare il cliente e lo consiglio vivamente a chi ci segue, perché offre sia riflessioni profonde sul mondo del lavoro sia spunti pratici. Entriamo nel vivo: mi raccontavi che il libro nasce da uno studio lungo e approfondito sulla dimensione dell’ascolto, durato più di cinque anni. Come è nata questa dedizione?
Riccardo Manieri: Certo. Innanzitutto, permettetemi di ringraziare Sara Balleroni, vostra collega, che mi ha coinvolto in questo progetto e in questa intervista. Il libro nasce da un’esperienza personale. Nel 2014 mi sono ritrovato a cambiare completamente lavoro, non solo ruolo, ma settore. Venivo dall’agroalimentare e dal turismo, quando mio padre mi chiese di aiutarlo con la società che aveva avviato insieme ad alcuni colleghi nel campo della formazione e della consulenza commerciale.
All’epoca ero già stato all’estero e, tornato in Italia, mi sono trovato catapultato in una realtà professionale per me nuova. L’unico valore che potevo portare era la mia capacità di comunicare in più lingue e di relazionarmi con le persone. È stato in quel momento che ho capito come l’ascolto potesse diventare uno strumento per inserirsi in un nuovo contesto lavorativo, raccogliere informazioni, costruire rapporti di fiducia e creare opportunità.
Non mi sono fermato alla mia esperienza personale: la curiosità mi ha spinto a cercare libri e studi che potessero aiutarmi a perfezionare e applicare meglio questa competenza.
A un certo punto, rendendomi conto della quantità di materiale disponibile, ho deciso di studiarlo sistematicamente. E, per valorizzare il tempo dedicato alla ricerca, ho pensato di raccogliere tutto in una guida , che poi ho pubblicato. Quella che vi ho mostrato è la prima edizione: tenerla tra le mani è stata una grande soddisfazione. E, come accade a ogni autore, sfogliando le prime pagine ho subito notato i primi errori… e ho provato a correggerli!
Valentina Bonci: Sì, mi hai parlato di piccoli errori di editing, ma nulla di irrimediabile. Partendo dal tuo racconto, mi dici che hai approfondito molto il tema dell’ascolto, tanto da diventare un formatore e aiutare gli altri a sviluppare questa competenza. Per introdurre la mia domanda, riprendo una citazione che riporti nel libro, di Tomatis: “L’ascolto è naturale ed è il desiderio più ontologico dell’essere”. Se è una capacità innata, perché è necessario formare le persone per risvegliarla?
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Riccardo Manieri: Grazie per la domanda e anche per la citazione. Anzi, consiglio a chiunque voglia approfondire l’argomento di leggere Tomatis, una fonte preziosa per comprendere la meccanica dell’ascolto. Lui spiega come ascoltiamo e come il nostro corpo utilizza l’ascolto per orientarsi , prendere decisioni e stabilire priorità.
Ascoltiamo sempre, chi ha un apparato uditivo funzionante è costantemente esposto ai suoni. Tuttavia, siamo spesso sopraffatti dai rumori intorno a noi e non riusciamo a dedicare abbastanza tempo e attenzione all’ascolto vero e proprio. La domanda da porsi è: quanto spazio riserviamo all’ascolto degli altri nel corso della giornata?
Questo interrogativo mi ha spinto a cercare altre fonti, studi e autori che avessero approfondito il tema. Ho esplorato sia la letteratura italiana che quella straniera per trovare interpretazioni e strumenti utili a trasformare l’ascolto in una competenza allenabile e applicabile in ambito formativo.
Il libro è nato con un obiettivo preciso: aiutare chi lavora nel commerciale a costruire relazioni, generare opportunità e comprendere meglio il mercato. Ma l’ascolto è una competenza trasversale, utile in qualsiasi contesto sociale. A me piace definirlo un modo per esplorare la realtà, perché ci permette di percepirla con nuovi punti di riferimento e di scoprire dimensioni che prima ci erano sconosciute. È come una Matrioska: aprendo un livello, ne troviamo sempre un altro da approfondire.
Valentina Bonci: Colgo subito lo spunto. Hai parlato di lavoro e approccio commerciale. Visto che è anche il mio ambito, vorrei chiederti: nel libro parli di ascolto commerciale, sottolineando l’importanza di mettere al centro la persona , più che il ruolo professionale. Ti va di approfondire questo aspetto? E perché è particolarmente utile nelle relazioni B2B?
Riccardo Manieri: Ho trovato molta letteratura sull’ascolto, ma poche indicazioni pratiche su come applicarlo, ad esempio nella gestione di un reclamo o nel raccogliere un feedback da un cliente. Per questo, ho cercato di spiegare in modo concreto ai professionisti – imprenditori, commerciali, tecnici – i benefici di un ascolto strategico.
L’ascolto commerciale è un insieme di attività che permettono di raccogliere informazioni, costruire relazioni e, alla fine, acquisire clienti basandosi sulla fiducia. Ascoltare significa diventare fonti autorevoli di informazioni : mentre mi informo, rifletto, faccio connessioni e creo collegamenti tra concetti e persone. Questo processo costruisce una mappa – o meglio, una bussola – che mi aiuta a orientarmi nel mercato.
Questa bussola può essere utile anche ad altri, a chi non ha avuto il tempo o le risorse per esplorare certe informazioni. Se il cliente percepisce che possiamo essergli d’aiuto, il passo successivo è semplicemente definire il tipo di collaborazione da instaurare.
Oggi il ritmo degli affari è fortemente influenzato dalle tecnologie e dai numeri, strumenti utilissimi per misurare i risultati. Tuttavia, è una cosa soffermarsi sui numeri, un’altra è concentrarsi su chi li genera. Se riesco a creare un rapporto di fiducia con una persona, nessun prezzo o concorrente potrà spezzarlo, a meno che io non tradisca quella fiducia.
Nel contesto B2B, parliamo di consulenze e progetti d’impresa, come strategie di marketing e comunicazione. Chi meglio di un professionista con una solida rete di contatti può aiutare un’azienda a navigare i mercati e a distinguersi? L’ascolto, sia interno che esterno, permette di ridurre gli errori e, in alcuni casi, di anticipare le esigenze del mercato . Certo, anticipare comporta un margine di rischio, ma chi arriva per primo ottiene un vantaggio competitivo. Spero di essere stato chiaro.
Valentina Bonci: Assolutamente, ti sei spiegato benissimo. Inoltre, nel B2B i processi d’acquisto sono lunghi, quindi focalizzarsi sull’ascolto aiuta a costruire e mantenere relazioni solide nel tempo. Hai parlato di metodo, bussola e strategia, e nel tuo libro offri spunti pratici. Il mio esercizio preferito è il metodo delle 3P. Ti andrebbe di parlarcene, senza svelare troppo?
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Riccardo Manieri: Il metodo delle 3P è una tecnica di ascolto basata sulle domande. Nella comunicazione possiamo distinguere due aspetti fondamentali: parlare e ascoltare . Spesso ci concentriamo sul primo, trascurando il secondo. La mia tecnica aiuta a sviluppare la capacità di ascolto in diversi contesti, come interviste, incontri conoscitivi o gestione di reclami. L’obiettivo è comprendere meglio la situazione prima di proporre una soluzione adeguata.
Questa tecnica organizza le domande in base al soggetto, seguendo un principio noto a chi studia comunicazione e vendita: chi domanda, guida la conversazione. Se curiamo la formulazione e il soggetto delle domande, possiamo orientare meglio il dialogo, sia che si tratti di una vendita, della risoluzione di un problema o di un confronto.
Le tre P semplificano questo approccio, suddividendo le domande in tre categorie: Prodotto (o servizio), Percorso (o progetto) e Persona.
Spesso, in un’intervista o in un colloquio, ci si concentra sulle prime due dimensioni, analizzando il prodotto o il processo, ma si tende a trascurare l’elemento più importante: la persona. Capire il suo rapporto con il prodotto o il progetto offre spunti preziosi.
Faccio un esempio pratico: durante un colloquio di lavoro, chiedere “Che parli?”—una domanda di prodotto, perché mira a ottenere un’informazione tecnica. Oppure “Dove hai studiato?”, che riguarda il percorso. Ma se chiediamo “Qual è la lingua che ti piace di più?” o “In quale paese ti sei trovato meglio?”, entriamo nella sfera personale, stimolando un dialogo più profondo.
Queste domande, che possono sembrare superflue, sono in realtà la chiave per costruire rapporti di fiducia. Le informazioni sulle competenze si trovano già in un curriculum, ma il perché una persona ha fatto determinate scelte non è scritto da nessuna parte.
Utilizzando questo metodo, si aprono nuove dimensioni di dialogo. È come una matrioska: ogni domanda personale aggiunge un livello di comprensione più profondo. Questo crea connessioni autentiche, rendendo meno rilevante la concorrenza e più importante la sintonia tra le persone . Se l’interlocutore ha piacere di raccontarsi, possiamo approfondire all’infinito, costruendo un rapporto solido e duraturo.
Valentina Bonci: Molto interessante, tra l’altro mi hai anticipato, perché ti avrei chiesto proprio un esempio. Spesso nei corsi di formazione si insegna a formulare meglio le domande e a ricercare le informazioni nel modo giusto, ma affiancare a questo il valore dell’ascolto porta molto più lontano. Mi piace molto questo approccio.
Ora faccio un salto di tema, restando sempre nell’ambito commerciale. Nel libro emerge la nostra passione condivisa per le fiere. Io e te le vediamo come vere e proprie piazze di incontro e scambio, ma molti colleghi del settore commerciale non condividono lo stesso entusiasmo. Vorrei chiederti qualche consiglio su come organizzare al meglio il lavoro in fiera e, soprattutto, come sviluppare un’attitudine all’ascolto in un ambiente dove c’è comunque tantissimo rumore.
Riccardo Manieri: Sono appassionato di fiere fin da piccolo. Mio padre, direttore commerciale, ci portava spesso con lui, e così la domenica io, mia madre e mia sorella giravamo tra gli stand aspettando che finisse di lavorare. Non sempre i settori esposti mi interessavano, ma osservare le persone che si incontravano , parlavano, si salutavano e sentire lingue diverse mi affascinava. Credo che questa esperienza abbia influenzato la mia scelta di imparare altre lingue e di trascorrere un periodo all’estero.
Quando vado in fiera, percepisco l’energia del commercio, quella vitalità che si respira nei mercati, dove le persone si scambiano beni, idee e affari. È un’atmosfera che cerco sempre di vivere pienamente. Aiuto le aziende affiancando i commerciali o chi, abituato a lavorare all’interno dell’azienda, si trova improvvisamente a interagire con il pubblico.
Un consiglio semplice che do sempre è questo: se arriva un visitatore straniero, provate a salutarlo nella sua lingua. Se non la conoscete, chiedetegli direttamente: “Come si dice grazie nella tua lingua?”. Ripetetelo, anche se la pronuncia non è perfetta. Questo piccolo gesto crea subito un legame, un momento di scambio autentico che il visitatore ricorderà. Molti non lo fanno per timore o perché non ci pensano, ma è un’attenzione che può fare la differenza.
In fiera, e in generale nella comunicazione, l’ascolto è fondamentale. Non deve essere impostato, ma spontaneo. Se riesco a comprendere ciò che l’altra persona dice e lo trasformo in una domanda per approfondire, il dialogo fluisce senza bisogno di uno schema rigido. Questa è la vera sfida dell’ascolto: saper cogliere gli spunti e guidare la conversazione in modo naturale. Poi, che si usi il metodo delle 3P o altre tecniche, quello è solo un mezzo per affinare la strategia.
Valentina Bonci: Questo aspetto emerge chiaramente nel libro. All’inizio descrivi il nostro modo di comunicare più automatico: spesso non ascoltiamo davvero, ma aspettiamo solo il nostro turno per parlare. È un tratto culturale, soprattutto in Italia, dove tendiamo a sovrapporci e interromperci, non per maleducazione, ma per abitudine. Tuttavia, se ci concentriamo sull’affinare l’arte dell’ascolto e sviluppiamo un interesse genuino per l’altra persona, la comunicazione diventa molto più efficace.
Voglio farti un’ultima domanda, che riprende questo concetto. Nel libro parli di una “pratica etica”, descrivendo l’importanza di “vivere la professione più come una vocazione sociale che come un semplice tornaconto individuale”. Questa visione mi ha colpito molto. Ti chiedo: tu, Riccardo, come coltivi questa direzione interiore in un mercato sempre più complesso, veloce e globalizzato, dove non solo i beni ma anche le persone rischiano di essere trattate come prodotti?
Riccardo Manieri: È una domanda importante, cercherò di sintetizzare. Non so da dove iniziare, ma proverò a mettere in fila alcuni concetti. Per quanto riguarda il vivere questa professione come una vocazione, vorrei condividere la mia esperienza personale.
Provengo da un altro settore, il turismo: ero accompagnatore turistico e lavoravo per aziende alimentari. Ho iniziato seguendo i clienti, cercando di capire le loro esigenze, e mi è piaciuta l’idea di poterli aiutare anche in ambito formativo. Così ho intrapreso il percorso per diventare formatore accreditato, e oggi lo sono anche a livello regionale.
Quando si arriva a un certo punto della propria vita e si inizia a chiedersi se il lavoro che si sta facendo sia davvero quello giusto o se sia il momento di cambiare, sorgono molte paure e dubbi. Senza una guida, un mentore che possa supportare, consigliare e far conoscere altre esperienze, il percorso può essere faticoso.
A me piace insegnare. Quando sono in aula con i ragazzi mi diverto, perché sento che posso trasmettere ciò che ho imparato . Se io ho impiegato cinque anni per capire qualcosa, perché non dovrei condividerla con chi potrebbe beneficiarne? Sono una persona che ascolta i consigli, se qualcuno mi dice qualcosa di utile, lo applico subito e ne sono grato.
Se avessi conosciuto prima alcune informazioni pratiche su inquadramenti lavorativi, burocrazia, contratti e opportunità formative, avrei risparmiato tempo, fatica e risorse. Per questo motivo ritengo importante trasmettere agli altri ciò che ho appreso .
Capisco il timore di perdere un vantaggio competitivo condividendo il proprio sapere, ma credo nel principio dello scambio. Mio padre parlava di “scambio in abbondanza”: dare senza aspettarsi nulla in cambio , perché ciò che offriamo ci torna sempre, magari in forme diverse. Questo concetto esiste in diverse tradizioni culturali e religiose: possiamo chiamarlo karma o in altro modo, ma il principio resta lo stesso.
Bisogna superare l’idea che insegnare qualcosa significhi perdere professionalità, clienti o fatturato. C’è chi si chiude nel timore che altri possano sottrargli opportunità, ma io sono convinto che circondandosi di persone che condividono i nostri valori si crei una rete virtuosa.
Sono cresciuto in un piccolo quartiere di Pesaro, ma fin da piccolo ero affascinato dalla cultura, dai viaggi e dalla conoscenza. La mia famiglia ha sempre partecipato a progetti scolastici e attività di volontariato, e questo mi ha dato una solida base. Tuttavia, non mi è bastato: volevo imparare nuove lingue, approfondire argomenti, confrontarmi con realtà diverse.
Non mi sono mai sentito a mio agio in contesti che non rispecchiavano i miei interessi, come il calcio di quartiere o il ritrovarsi al bar. Preferivo il teatro, gli incontri politici, i dibattiti su come migliorare la società. Inserirmi in questi ambienti non è stato facile, ma ho perseverato. Ora metto questa esperienza a disposizione degli altri, perché ho capito che condividere significa crescere .
Da quando sono tornato a vivere a Pesaro, ormai più di dieci anni fa, ho portato avanti iniziative come il Pesaro Language Exchange, attività di volontariato e collaborazioni con associazioni per ampliare il confronto e la conoscenza reciproca.
Per me, il commerciale oggi non è solo un tecnico di settore, ma una figura capace di ampliare gli orizzonti e portare le aziende oltre la loro zona di comfort. Più esperienza si ha, meglio si guida questo processo.
Se guardiamo alla storia italiana, le città più floride sono sempre state quelle aperte al commercio e allo scambio: Firenze, Venezia, Napoli, Genova, Milano. Sono realtà che, grazie al loro dinamismo, hanno creato università, luoghi di incontro e cultura.
Allo stesso modo, un commerciale dovrebbe essere predisposto a viaggiare, apprendere nuovi linguaggi e confrontarsi con altre culture, anche all’interno delle aziende, dove esistono culture tecniche, commerciali e politiche differenti. Alla soglia dei 40 anni, alzarsi la mattina e sapere che la propria giornata ha un senso è fondamentale. Chi ha la mia età, o anche più grande, sa che arriva il momento in cui si iniziano a fare i conti con la propria vita: cosa si è fatto, cosa no, cosa è andato bene e cosa meno. Si cerca di dare un senso alle scelte e agli investimenti fatti. Da giovani si pensa di avere tutto il tempo davanti, si commettono errori con leggerezza. Ma per me, questa è la vocazione. Essere un commerciale non significa solo occuparsi di numeri e tornaconto personale. Non mi riconosco in quel tipo di figura. Il mio obiettivo è creare valore, per me e per le persone con cui lavoro.
Valentina Bonci: Riccardo, le tue parole sono davvero ispiratrici. Hai risposto benissimo, toccando molti punti importanti. Mi ha colpito in particolare il racconto della tua giovinezza: chi ha vissuto esperienze simili può essersi sentito solo più volte. Sapere che altri hanno affrontato lo stesso percorso è di grande aiuto. Anche in Adv Media Lab promuoviamo la condivisione e la costruzione di una rete di collaborazione, pur operando nel mondo dei dati, dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale. Personalmente, nel mio ruolo commerciale, cerco di coltivare relazioni, più che focalizzarmi unicamente sulla chiusura di un accordo.
Per questo invito tutti coloro che ci hanno ascoltato a contattarci e a mettersi in contatto con Riccardo: è un grande formatore e una persona di valore. Nel nostro precedente incontro ho capito quanto sia coinvolto in molteplici ambiti. Se avete bisogno di supporto, rivolgetevi a lui. Consiglio anche la lettura di Ascoltare il cliente e, per qualsiasi domanda o approfondimento, io e il team siamo a disposizione.
Riccardo Manieri: Grazie a voi per questo spazio. Essere chiamato a condividere la mia esperienza è un onore. Se qualcuno vuole approfondire, può visitare il sito di Form Action o cercare Ascoltare il cliente sui social, dove troverà podcast, articoli e contenuti gratuiti dedicati all’ascolto. Ci sarà sempre l’opportunità di nuovi confronti. Come dicevi, ho le mani in pasta in tante cose, e anche se cerco di limitarmi, è più forte di me: fare rete e creare connessioni è la mia vocazione.
Grazia Sigismondo: Grazie mille, Riccardo e Valentina, e un saluto a tutti gli utenti che seguiranno l’intervista. Arrivederci.
Valentina Bonci è Business developer in Adv Media Lab, con un particolare focus sulla sua business unit Compethink con una formazione in lingue aziendali maturata presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.