Roberto Siconolfi: Scendendo più nello specifico sulla questione fake news, alle quali lei ha dedicato un saggio dal titolo, per certi versi provocatorio, “Finché ci sono fake news c’è speranza. Libertà di espressione, Democrazia, Nuovi Media” (Rubettino, 2021). Dal punto di vista del diritto, della nostra Costituzione e anche di una sana dialettica tra i diritti individuali e la partecipazione politica e democratica, quali sono gli errori, le forzature e talvolta le vere e proprie censure illegittime e illiberali che vengono effettuate riguardo al campo della verità, che è il campo di battaglia politico al tempo del web?
Prof. Carlo Magnani: Sì, la verità è tornata a funzionare come argomento politico, cosa che per tantissimo tempo nessuno ha mai tirato fuori la verità. I democristiani dicevano che i comunisti mangiavano i bambini, nessuno ha detto: “No, guardate, c’è un’agenzia indipendente di fact checker che attesta…” No, non funzionava così. Invece, con l’avvento di internet, in una società postmoderna, dove il concetto di verità è stato screditato scientemente come un elemento dogmatico, di chiusura, assolutista, l’ermeneutica, le scienze sociali postmoderne ci hanno insegnato che la verità, per carità, era l’ultimo rifugio dei mascalzoni, a un certo punto i medesimi protagonisti nel discorso pubblico tirano fuori la verità come nuovo elemento regolativo. Con un’operazione che francamente a livello culturale, già questo spiazzamento, c’è questa contraddizione.
Gianni Vattimo ha scritto un libro nel 2009, “Addio verità”, si intitolava. Come dire, siamo nell’epoca nuova, non ci sono fatti ma solo interpretazioni. E ad un certo punto però gli stessi dipartimenti di comunicazione che hanno prosperato su questa cosa, tirano fuori la verità come elemento di regolazione del discorso pubblico. E quindi escono fuori le categorie di fake news, oppure di disinformazione, che è quella raffinata. Adesso si parla soprattutto di disinformazione. Che però viene definita giuridicamente dai documenti della Commissione Europea. I documenti della Commissione Europea definiscono la disinformazione come tutti quei contenuti, quelle notizie dannose per determinati valori, che sono la salute, la democrazia, la sicurezza degli Stati, che però sono non veritiere. E quindi c’è l’elemento della verità, anche nella definizione di disinformazione.
L’elemento della verità però è pesante da sostenere. Nella nostra Costituzione non c’è scritto che abbiamo il dovere di dire la verità. Ce l’hanno i giornalisti, il dovere di dire la verità, secondo la legge istitutiva dell’ordine, ma dal punto di vista costituzionale non esiste un dovere di dire la verità. A meno che, se giuriamo di dire la verità, allora la dobbiamo dire, ma altrimenti non c’è un dovere generale di dire la verità. E questo è un primo elemento. Esiste un’ipotesi delittuosa di diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose, dove però il fatto in sé non è reato. La diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose diventa reato se è idonea a procurare allarme per l’ordine pubblico. Quindi se io dico il bicarbonato cura il cancro, di per sé niente. Se dico che il bicarbonato cura il cancro, quindi domani andiamo all’ospedale a bruciare il reparto di chemioterapia, crea un problema all’ordine in un pubblico, però non c’è un dovere di dire la verità per l’ordinamento giuridico. Questo è un primo fatto.
Il secondo fatto è anche un altro. Ma quali sono le grandi questioni dell’agenda pubblica che possono essere ridotte a dei predicati apofantici, cioè predicati che hanno in sé la loro dimostrazione, la loro verità. Io posso dire “questo è un paio di occhiali, questa è una pennetta web”. Ma se dico l’austerità ha fatto bene alla Grecia, oppure le politiche vaccinali basate sull’obbligo sono state efficaci. Oppure non ti vaccini, ti ammali e muori. Qual è l’argomento pubblico, l’argomento dibattuto nella sfera pubblica che possa essere ridotto veramente all’osso vero o falso? È difficile, molto difficile.
Poi lo stiamo vedendo anche con l’informazione di guerra. È chiaro che molti stigmatizzano la disinformazione russa, ma diciamo che esistono opacità informative anche nelle nostre società. Con informazioni che a volte vengono date in una certa maniera o addirittura non vengono date. Quindi, secondo me, questa lotta alla disinformazione, su cui si è impegnata in maniera estrema l’Unione Europea, elargendo anche soldi, perché è chiaro che i dipartimenti universitari che si occupano di questa cosa vengono ben finanziati. Il fact checking, per certi versi, è foraggiato dall’alto, è finanziato dall’alto. Non è solo una cosa spontanea, ma viene finanziato da precisi programmi della Commissione Europea. Ma chi sono questi valutatori? Chi giudica? Chi è che giudica del vero e del falso? È chiaro che ci sono casi palesi che meritano di essere sanzionati ed è giusto che vi sia una correttezza dell’informazione. Però bisogna andarci piano perché altrimenti si rischiano di introdurre elementi come la censura privata che veramente rischiano di vulnerare il contesto democratico.
Roberto Siconolfi: Sì, di questo aspetto assai contraddittorio della filosofia postmoderna decostruzionista di cui lei ha descritto anche il passaggio poi dalle aule universitarie fino poi anche a un dispiegamento politico e aggiungere poi incredibilmente al suo versante opposto, cioè da che si diceva che la verità è autoritaria, è sbagliata, e quindi in ultima analisi non esiste, vale il “secondo me”, che è la cosa forse più libera, autodeterminata possibile, anche magari davanti a un tramonto, a dire secondo me non è il sole, se mi vuoi dire che è il sole, io ti prendo per un autoritario e magari anche qualcos’altro. Poi si è invece passati all’aspetto incredibilmente opposto.
Questa è una questione che abbiamo analizzato in alcuni contributi, perché forse la radice ultima della postmodernità, da un punto di vista proprio metafisico, è il caos. È una cosa che è interessante questa capacità delle contraddizioni di annullarsi tutte tra loro in nome poi del caos, verrebbe da dire un po’ come potrebbe forse analizzare un filosofo tradizionalista come René Guénon.
Quando tutte queste contraddizioni a un certo punto si annullano a vicenda, però andando tutte nella direzione del caos, di un caos che ha anche una capacità distruttrice-creativa, perché come vediamo con l’Impero del Web, si scompagina completamente tutto quello che abbiamo conosciuto a un punto di vista giuridico, politico, per creare qualcosa di nuovo, che però forse non è questo paradiso in Terra che ci hanno sempre promesso le grandi ideologie, ma è qualcosa che inizia un po’ a turbarci per utilizzare un eufemismo. Andando quindi verso un aspetto proprio più filosofico-metafisico, andando ad analizzare la questione della verità. Il mondo postmoderno ha, forse, un nuovo concetto, una nuova idea di essa.
La verità è autoritaria per definizione nella mentalità relativista e decostruzionista dei nostri contemporanei. Il che è diverso dal fondamento metafisico che la verità poteva assumere, ad esempio, anche nel mondo moderno, per via proprio delle ideologie, dove c’erano dei valori, degli ideali, anche delle personalità politiche, delle aspirazioni politiche di riferimento, o in quello premoderno, dove invece vi era una centralità del sacro e della religione, quindi che affermava delle verità quasi assolute nel caso della religione o addirittura esperite nel caso ad esempio anche del mondo precristiano, dove addirittura i romani parlavano con gli dei, vivevano queste potenze soprasensibili proprio dentro di sé.
Sarebbe possibile uscire da questa impasse relativista, dove tutto è vero, ma allo stesso tempo tutto è falso. Magari aderendo a determinate correnti filosofiche come il nuovo realismo di Maurizio Ferraris, e anche ad una sana capacità che preferisca la logica, l’ermeneutica, la pedagogia, di colui che si mette alla ricerca della verità con metodo e passione, rispetto alle censure e alle verità fabbricate dagli esperti. Quindi è possibile rintracciare anche dei fondamenti storici di queste due vie complementari?
Prof. Carlo Magnani: Questa è una domanda da un milione di dollari, come si dice. Tra l’altro la ricostruzione che ha fatto è veramente perfetta. Io devo dire che leggo sempre con molta attenzione l’autore che lei ha citato, Maurizio Ferraris, e devo dire che anche quella prospettiva mi sembra abbastanza utilizzabile per comprendere il fenomeno del web. Cosa fra l’altro che anche l’autore ha più volte fatto e credo che sia un punto di riferimento.
Secondo me non è stata valorizzata abbastanza quella prospettiva del nuovo realismo. Perché in realtà è un modo per congedarsi dal relativismo postmoderno e per dire: “attenzione guardate che forse siamo andati un po’ troppo avanti con la decostruzione, perché non resta poi in piedi più niente”. Però il problema è riuscire a trasferirla nel discorso pubblico, nel dibattito pubblico. E lì incontriamo sempre lo scoglio della verità contro il quale si va a sbattere. Certo, bisogna, come dire, separare il destino della democrazia da quello della verità. Perché chiaramente la democrazia ha bisogno della verità ma non è il regime della verità.
La democrazia non può essere il regime della verità, la democrazia è il regime dello scetticismo, del relativismo. Quindi questa è una cosa da preservare. Però quando, invece, ci trasferiamo in altri ambiti della vita sociale, come ad esempio quello del sapere, ecco allora che invece una solida tradizione realista, se non addirittura metafisica, io credo, potrebbe addirittura fare bene, potrebbe aiutare a recuperare punti di riferimento che in qualche modo ci aiutano ad orientarci in questo pulviscolo postmoderno nel quale siamo immersi, dove l’uomo che non crede più a Dio, diceva Chesterton, non crede più a nulla. E quindi oggi abbiamo distrutto Dio, perché Dio è morto come era stato sentenziato un secolo fa.
Però non è che abbiamo trovato surrogati altrettanto validi, anzi sembra che il relativismo o il caos, giustamente come diceva lei, una bellissima metafora, rischia un po’ di soffocare il dibattito. Quindi la prospettiva del nuovo realismo, secondo me, è una prospettiva interessante, purché rimanga comunque come istanza critica. Perché se il nuovo realismo deve essere “va bene tutto quello che c’è”, il rischio, ultimamente, è stato quello di leggere un po’ un certo appiattimento sul presente. Invece credo che proprio dal realismo non si possano ricavare delle istanze critiche nei confronti dell’esistente.
Roberto Siconolfi: Un modo un po’ da trasformare, come direbbero gli alchimisti rinascimentali, il veleno in farmaco. Quindi da questo caos postmoderno riusciamo a trovare una strada che ci riporti sulla retta via. Nel senso non di uno stato etico che ti vuole indirizzare sulla retta via, ma proprio di un senso interiore, antropologico di riuscire finalmente a ritornare a percepire cosa è vero e cosa è sbagliato. Come facevano gli antichi greci con l’Aleteia che la percepivano e la chiamavano con il proprio nome, anziché poi affondare nella marea delle opinioni del sofismo, che invece, dello scetticismo che a tutto contestava, come dicevamo prima, persino l’esistenza del Sole, perché effettivamente poi passare tutto al vaglio della ragione diventa quasi un esercizio, per certi versi, diabolico, nel quale poi tutto esiste e tutto non esiste e quindi l’uomo si svuota dall’interno. Per quanto mi riguarda è stata una bella conversazione, non so se Grazia o il professore hanno voglia di aggiungere qualche altra informazione.
Prof. Carlo Magnani: No, io sono a posto, grazie anzi per l’occasione che mi avete dato e per la stimolante e ricca conversazione.
Grazia Sigismondo: Allora vi ringrazio e ringrazio gli utenti che guarderanno questa intervista. Buona giornata.
Roberto Siconolfi: Buona giornata.
Prof. Carlo Magnani: Grazie, anche a voi.
Roberto Siconolfi, classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo. Uno dei suoi campi principali di ricerca è il mondo dei media, in tutti i suoi aspetti, da quello tecnico a quello storico e antropologico, fino a giungere al piano “sottile”, “magico”, “esoterico”.
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