Roberto Siconolfi: Infatti questo aspetto che lei ha chiarito mi riporta alla mente un po’ la lettura che faceva Marshall McLuhan del mito di Narciso. Quando lui dice praticamente Narciso non è che guarda sé stesso e rimane quindi folgorato dalla sua immagine, guarda nell’immagine qualcosa che lui pensa sia qualcos’altro. In pratica è come se il sé sfuggisse di mano e si cerca di inseguire una sovrastruttura, forse un atteggiamento molto tipico nei social network. Anche se lo stesso concetto di cosmesi, che deriva etimologicamente da Cosmos, apre anche a un versante positivo della cosa, cioè a quella creatività che, secondo parecchi, la tecnica ha in potenza e che quindi la tecnica non diventa solo una specie di oppressione o di inseguimento neoliberale della propria identità, ma inizia a diventare qualcosa di creativo che effettivamente ha degli aspetti veramente interessanti.
Prof. Boccia Artieri: È assolutamente così perché nel creare una nostra biografia online, nel dover scegliere che immagine mettere, che cosa dire, cosa raccontare, come riprenderci. Alla fine mettiamo alla prova la nostra creatività nei confronti degli altri, che è quello che poi facciamo quotidianamente. Ed è anche una bella palestra per imparare ad auto-raccontarsi, ad auto-narrarsi. Pensiamo anche un adolescente che deve dire “chi sono” in cinque righe con un’immagine. In qualche maniera è qualcosa in pubblico, per cui viene anche giudicato per quello che fa, un po’ come quando fa dei compiti.
In qualche modo questo credo che sia un elemento di creatività che vada portato dentro anche alle scuole o da altre parti. Uno degli esercizi che mi piace sempre sottoporre, per esempio, nelle scuole medie, è prendere magari una cosa che stanno facendo, magari i Promessi Sposi, e far fare la biopic di Renzo e di Lucia, cioè: “che immagine mettono? Come si descrivono nella bio? Renzo cosa dice di sé stesso? Cosa dice Lucia?”. Questo significa conoscerli, conoscere quel tipo di narrazione, saperla tradurre in poche parole che siano rivelatrici per gli altri, che è un esercizio che applichiamo su noi stessi e noi stesse.
Roberto Siconolfi: Questa naturale, o meglio, questa gestione neoliberale del Sé, come si concilia con quella naturale vocazione social di Facebook, come anche di altri social network?
Prof. Boccia Artieri: Sì, anche questa è un’ottima domanda.
Roberto Siconolfi: Una gestione neoliberale del Sé presuppone un individualismo, anche un certo narcisismo, come abbiamo detto. Come si fa a conciliare con il social?
Prof. Boccia Artieri: Allora, intanto direi che ci sono dei tratti. Io non sono un sociologo né uno psicologo, però i tratti narcisistici o quelli individualistici non è detto che siano negativi in sé, sono due parole, nel senso che ognuno di noi probabilmente ha una componente nel narcisismo che è quello che gli permette di non stare chiuso in una casa, terrorizzato rispetto agli altri, ma di porsi in pubblico. Poi ci possono essere delle patologie legate al narcisismo o le patologie legate all’individualismo.
Detto questo, ovviamente, parliamo di ambienti sociali connessi, cioè dove queste componenti si legano agli altri. Allora, prendiamo Facebook. Come è fatto Facebook? Facebook lavora su un ego network. Cioè, ci sei tu al centro, comincia a seguire delle persone, delle persone ti seguono. Però fondamentalmente sei tu posto al centro di una rete. Sei tu che posti, sei tu che commenti. Quindi, come dire, sei contemporaneamente tu ma anche in relazione con gli altri. Io questa cosa cerco di spiegarla così: Facebook è quel posto dove, per la prima volta, le italiane e gli italiani hanno imparato ad avere un pubblico e ad essere un pubblico allo stesso tempo. Tu quando posti qualcosa hai un pubblico, ma allo stesso tempo non puoi essere pubblico del tuo pubblico perché leggi le loro cose.
Quindi di solito noi siamo abituati, o siamo pubblico e quindi stiamo davanti alla televisione, o siamo protagonisti e abbiamo pubblico perché stiamo parlando a qualcuno. Facebook ti obbliga, nello stesso spazio-tempo, a passare continuamente da questa dimensione tra l’io e noi, essere parte di qualcosa e essere protagonista di qualche cosa altro. Quindi sei tu ma connesso, cioè sei tu come parte di una rete.
Per cui la dimensione neoliberale, che è forse quella che è spinta più dalle piattaforme, che non è connaturata all’individuo, che invece ha un’attitudine a relazionarsi, è mitigata dal fatto che poi le persone cercano comunque di costruire relazioni, rapporti, che hanno il senso della loro rete e dipendono dal senso della loro rete, per cui non sono mai soli completamente lì sopra, ma sanno di essere lì e di essere parte di qualche cosa, anche quando leggono semplicemente i contenuti. Quindi credo che ci sia sempre questo equilibrio proprio nelle pratiche vive, a livello teorico noi possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, ma nelle pratiche vive c’è sempre questa tensione continua tra dei meccanismi più fortemente identitari, pulsioni neoliberali, l’io e noi, che convivono in maniera negoziale, articolate, eccetera, proprio nelle pratiche vive, in quello che facciamo.
Se noi partiamo dalle pratiche, cioè da quello che viene fatto, allora leggiamo che quelle che sono apparentemente contraddizioni sono in realtà campi di forza che convivono nelle cose che facciamo quotidianamente.
Roberto Siconolfi: A proposito di queste dicotomie apparentemente contraddittorie: se, come dicevamo, la dicotomia vita reale-medium non esiste, e allo stesso modo non ha senso parlare di quella online-offline, del resto, come lei anche ricordava, diceva Luciano Floridi: “Noi siamo on life, siamo permanentemente connessi a una gigantesca infosfera”, allora riguardo il superamento di questa dicotomia online-offline, o forse potremmo meglio dire di una integrazione tra questi due aspetti che non contrastano tra loro, lei parla di coalescenza. Vorrebbe chiarirci meglio cosa si intende con questo termine?
Prof. Boccia Artieri: Sì, la coalescenza ha a che fare con questa capacità che abbiamo acquisito di tenere insieme elementi che ci sembrano alternativi.
L’esempio che stavi facendo, quello dell’online e l’offline, come due realtà separate, le possiamo descrivere così, analiticamente, in un libro, ma le persone le sperimentano in maniera diversa.
Perché io sono qui, ma contemporaneamente sono lì nel momento in cui chatto con te. Quindi per noi empiricamente le due cose continuano, sono in stretta continuità. Luciano, per esempio, utilizza questa metafora della società delle mangrovie, dicendo fondamentalmente che noi siamo come mangrovie che cresciamo. Le mangrovie crescono nei luoghi in cui l’acqua salata e quella dolce si incontrano. Quindi sono una specie che è abituata a crescere prendendo il meglio delle due acque. L’online e l’offline sono queste due acque che si miscelano nelle cose che facciamo concretamente.
Mi sembra di aver capito questa cosa, forse proprio all’inizio della diffusione di Facebook in Italia, nel 2006-2007. Una cosa che spesso dico: ero a Roma su un autobus, c’erano due ragazzi che all’uscita di scuola erano seduti sull’autobus, stavano parlando, uno era arrivato alla fermata e ha detto all’altro: “finisco di dirtelo su Facebook”.
Questo “finisco di dirtelo su Facebook” vuol dire che quella conversazione, che era stata fatta dentro un ambiente materiale, poteva tranquillamente continuare dopo in continuità. Quindi, come dire, Facebook era il modo di continuare le conversazioni che noi abbiamo nella quotidianità quando non siamo vicini fisicamente, è il modo di stare in contatto quando non siamo in contatto fisico, e per noi stare in contatto, cioè quel keep in touch che utilizziamo quando abbiamo gli smartphone, vuol dire quella cosa lì, che tu sei nella mia rubrica e quindi siamo prossimi fondamentalmente.
Ecco, la coalescenza è il fatto che online e offline sono due realtà inestricabilmente connesse e che le possiamo separare analiticamente se vogliamo descriverle come alternative, eccetera, ma nelle pratiche delle le persone non lo sono. Piuttosto sono lì i problemi, se no non parleremmo di cyberbullismo. Se noi immaginassimo che l’offesa online fosse un’offesa virtuale, le persone non ci starebbero male, non avremmo delle persone che si suicidano o altre. Invece l’offesa online fa male perché è autentica, non è che siccome è online non è autentica. Nel momento in cui noi capiamo questa cosa, potremmo imparare a mettere in prospettiva i nostri comportamenti nel mondo digitale cercando di evitare di produrre torture che oggi produciamo.
Roberto Siconolfi: Infatti lei tratta anche di un aspetto della coalescenza, secondo me, ancora più profondo. Oltre alla questione della conversazione che continua, anche l’identità in realtà si rimodula in continuazione in base anche a quella del social network. Quindi non è che lì c’è un’altra identità a parte e poi io continuo a fare la mia vita, no. Quella identità lì rimodula anche poi quella che sarà la mia vita. Magari io inizio ad atteggiarmi in base all’identità che sto man mano plasmando sul social network. Cioè diventa effettivamente un continuo, anche da questo punto di vista, un continuum, anche da un punto di vista del sé, che veramente inizia una specie di ibridazione, possiamo dire, tra le due.
Prof. Boccia Artieri: Sì, in fondo noi cresciamo di fronte agli specchi. Cioè noi impariamo chi siamo da adolescenti, mi scuso per la banalità dell’esempio, però di fronte agli specchi impariamo a guardarci, guardiamo come siamo vestiti, com’è la nostra faccia, come possiamo sorridere, magari mimiamo il primo ballo che poi faremo da qualche altra parte.
Il digital ci ha proposto degli specchi di tipo diverso, non schermi, ma sono specchi fondamentalmente in cui ci riflettiamo in che cosa? Nelle reazioni degli altri. Per cui è vero che diventa difficile essere qualcosa di diverso quando sei online, perché la foto che io faccio, dove dico che sono una persona sportiva, può essere contraddetta da qualcuno che mi conosce mi dice: “ma scusa, non hai mai corso perché metti questa foto?”. Quindi, come dire, il racconto di me, la mia identità, ha più spazi in cui essere narrata, fondamentalmente. Certo, le persone possono crearsi delle identità fittizie. Questo vale online, ovviamente, ma vale anche offline. Però stiamo parlando di casi estremi. Nella normalità le persone semplicemente sfruttano delle opportunità diverse per raccontarsi, attraverso possibilità e spazi che sono diversi.
Roberto Siconolfi: Bene. Infine veniamo a una domanda, forse più di attualità, ma che è sempre connessa a tutta la fenomenologia dei social network. Lei ha scritto anche dell’evoluzione della democrazia, e più in generale della politica, al tempo dei nuovi media. Ad esempio nel conflitto russo-ucraino parla di una tensione granulare, eppure di una forma specifica di coinvolgimento emotivo che è tipica di questi anni. Ci vuole chiarire cosa intende e se anche tutto ciò poi aggiunga del valore a quella che è la risoluzione effettiva dei problemi, dei conflitti.
Prof. Boccia Artieri: Questo è un tema che mi sta molto a cuore, che è anche il rapporto che c’è fra i media e le democrazie. È evidente che questo modo di stare connessi e di essere prossimi ha prodotto anche una racconto, una narrazioni diversa della guerra, che non è più solamente mediata dal racconto dei professionisti, dei giornalisti, ad esempio, un racconto fatto nel linguaggio giornalistico attraverso le immagini, ma che è un racconto fatto in prima persona dai protagonisti, dalle protagoniste.
Cioè nel momento in cui un soldato ucraino o uno russo fanno una story su Instagram e ci raccontano la quotidianità della guerra dal loro profilo, non attraverso la mediazione di un racconto, nel momento in cui le morti che vediamo o la paura o la disperazione, l’abbiamo visto anche con le ultime immagini tremende dell’attentato in Russia.
Nel momento in cui queste cose passano dai nostri schermi che teniamo in mano, che producono questo senso di intimità molto forte e arrivano da account che sono come il nostro, la dimensione emotiva e il coinvolgimento emotivo è sicuramente molto più alto, perché aumenta il senso di prossimità. Questo nel bene e nel male, anche nel produrre fake news o altri tipi di cose.
È strano perché questa forte prossimità l’abbiamo vissuta con la guerra in Ucraina, specialmente all’inizio. Poi, come sempre, è un tipo di racconto che tende un po’ a sparire dagli algoritmi, perché è meno ricercato, un po’ fa meno novità, però è terribilmente presente, costante, se tu cominci a seguire qualcuno online di quelle zone.
Magari all’inizio guardi alcune immagini, se cominci a seguire le persone che le producono e ci sono persone che smettono di produrre perché magari ci sono soldati che sono morti, oppure ti ricompaiono nel tuo stream, dove in italiano ci occupiamo di cose che possono essere più di politica italiana, quella cosa impatta molto. Quindi questa dimensione emotiva, affective dicono le ricerche, cioè di una politica che diventa sempre più emotiva ed affettiva, fanno sì che anche il nostro rapporto con la politica in qualche maniera cambi. Dove la dimensione razionale e argomentativa lascia più lo spazio a una dimensione emotiva, emozionale ed affettiva, nel bene e nel male. Per cui noi possiamo anche aizzare la coscienza pubblica attraverso dei fatti che diventano eclatanti nella loro emotività istantanea, così come possiamo ravvivare attraverso richiami emotivi i rapporti.
I leader politici che spesso fanno degli appelli dai loro canali Instagram o su TikTok, cercano quel tipo di intimità e di prossimità lì, che è più forte del rilasciare un’intervista a un giornalista che media la comunicazione. Perché lì siamo io e voi, io politico e voi che siete i miei follower, fan o antifan del politico e che traducono in senso emotivo le mie parole. A questo ci stiamo abituando, è un percorso che in media, in qualche maniera, si è sviluppato anche nel tempo, nei media di massa, ma con le social media è diventato molto esplosivo. Ed è granulare perché il racconto della guerra, di qualsiasi guerra, di qualsiasi tipo di sventura, è un alternarsi tra un selfie con una nuova maglia, un primo piano di un piatto che stai mangiando in vacanza pasquale, e un’immagine che proviene dalle zone di guerra che ti richiama improvvisamente a un altro tipo di realtà.
Roberto Siconolfi: Infatti stavo pensando che dovremmo aggiornare poi perché adesso c’è lo scenario medio-orientale, dove forse siamo addirittura a un livello esponenziale di quello che si poteva guardare nel conflitto russo-ucraino.
Prof. Boccia Artieri: Assolutamente.
Roberto Siconolfi: Va benissimo. Per quanto mi riguarda, sono stati tutti argomenti di mio estremo interesse, spero anche per il nostro pubblico, insomma, il pubblico di Adv Media Lab e della Lab Academy, che è abituato a oscillare tra la dimensione pragmatica dell’economia, del marketing, a quella sociologica, storica, filosofica. Quindi dal mio punto di vista ringrazio il professor Boccia Artieri, ringrazio Grazia per aver condotto l’intervista e non mi resta che salutarvi per quanto mi riguarda.
Prof. Boccia Artieri: Ciao, un saluto a tutti e a tutte. Grazie, grazie dell’intervista e grazie delle parole.
Grazia Sigismondo: Grazie, buona serata a tutti.
Roberto Siconolfi: Buona serata.
Roberto Siconolfi, classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo. Uno dei suoi campi principali di ricerca è il mondo dei media, in tutti i suoi aspetti, da quello tecnico a quello storico e antropologico, fino a giungere al piano “sottile”, “magico”, “esoterico”.
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