Daniel Casarin – Imprenditore ed analista indipendente, si dedica al mondo della comunicazione, del marketing, del business design e della trasformazione digitale.
Pietro Catania , professore universitario, imprenditore, consulente e investitore. Dopo un percorso di successo nel settore della comunicazione, da oltre vent’anni si dedica alla trasformazione delle organizzazioni, lavorando su temi come innovazione, cambiamento, leadership, partecipazione e sviluppo manageriale.
È fondatore di Alef Consulting, realtà di riferimento in Italia nell’ambito dello sviluppo organizzativo. Nel luglio 2020 ha dato vita alla casa editrice Ayros e nel 2024 ha curato l’edizione italiana di “Gestalt consulting” di Edwin Nevis.
Grazia Sigismondo: Buongiorno a tutti, sono Grazia Sigismondo , Social media e community marketing consultant di Adv Media Lab. Oggi con noi ci sono Pietro Catania, fondatore della casa editrice Ayros, attiva da luglio 2020. Nel 2024 ha curato l’edizione italiana di Gestalt Consulting di Edwin Nevis . A intervistarlo è Daniel Casarin CEO di Adv Media Lab. Non vi rubo altro tempo e lascio la parola a Daniel per le prime domande.
Daniel Casarin: Ottimo, e grazie Pietro per essere qui con noi. Sei professore universitario, imprenditore, consulente e investitore. Inoltre, hai fondato una casa editrice che trovo estremamente interessante e, proprio con Ayros, hai pubblicato da poco l’edizione italiana di Gestalt Consulting .
Partirei subito con le domande, concentrandosi su questa edizione, che considero molto interessante per numerosi motivi. Hai curato personalmente l’edizione italiana, quindi ti chiedo: perché è utile parlare di Gestalt nell’ambito della consulenza aziendale, un tema che presenta risvolti davvero stimolanti? Pietro, a te la parola.
Pietro Catania: Grazie per questa opportunità, a Adv Media Lab e a te, Daniel, per lo spazio di dialogo.
Vorrei partire da un elemento personale: mi piace parlare di Gestalt perché ha segnato il mio percorso di apprendimento. È stata come un fiume carsico. L’ho incontrata durante la seconda laurea in psicologia, studiando la psicologia della percezione.
Gli studi condotti dalla scuola di Berlino, in particolare da Kurt Lewin, rappresentano uno dei fondamenti del metodo scientifico sviluppato dalla psicologia per comprendere e descrivere come entriamo in relazione con la realtà.
Per me, che venivo da una formazione in filosofia, è stato un ambito di grande interesse.
Successivamente ho scoperto che la Gestalt si era evoluta , a partire da queste ricerche iniziali, diventando uno strumento di intervento , sia terapeutico a livello individuale, sia organizzativo.
Nel mio caso, poiché la vita mi ha portato a diventare consulente organizzativo, questo incontro è stato illuminante.
La Gestalt ha solide basi fenomenologiche, cioè si fonda sulla capacità di descrivere ciò che accade nella nostra esperienza della realtà. E proprio attraverso questa descrizione ci offre strumenti per agire in modo più efficace e consapevole all’interno di essa.
È particolarmente utile per comprendere sia i processi di conoscenza individuale — come costruiamo le nostre rappresentazioni — sia le dinamiche dell’interazione tra persone. In un mondo sempre più dominato dalle rappresentazioni, riscoprire le radici dell’esperienza diretta mi è parso essenziale.
E ancora di più in un contesto dove le persone rischiano di essere sostituite dalle macchine , e dove cresce una sensazione diffusa di solitudine.
Fornire strumenti per rafforzare l’efficacia relazionale e costruire comunità mi è sembrato non solo utile, ma anche profondamente necessario. È per questo che ho deciso di recuperare e riproporre questo testo.
Daniel Casarin: È proprio un lavoro di creazione di senso. Creazione di senso anche all’interno dell’impresa.
Passo subito a una domanda successiva, perché hai citato il tema dell’esperienza, che nel libro è centrale. Si parla infatti del “ciclo dell’esperienza”. Vuoi raccontarci meglio di cosa si tratta?
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Pietro Catania: Il ciclo dell’esperienza nasce da osservazioni sviluppate nel contesto terapeutico.
Un punto di attenzione riguardava il cosiddetto movimento dell’energia, cioè ciò che la persona manifesta e percepisce in termini di attivazione energetica. A partire da queste osservazioni — su come una persona si mobilita nel dialogo e nell’interazione con il terapeuta — gli studiosi della Gestalt hanno cercato di comprendere meglio come si articola questa attivazione nella nostra esperienza.
La Gestalt, nata come studio della percezione , esplora come conosciamo il mondo a partire dai sensi.
Da qui si sviluppa un percorso che inizia con la percezione sensibile: qualcosa emerge, diventa oggetto della nostra attenzione e, così facendo, mobilita un’energia. Questa energia può assumere forme diverse — intensa o sottile, attrattiva o repulsiva — e può espandere o concentrare il nostro focus.
È proprio questa energia che ci spinge a immaginare e realizzare un’azione.
Noi entriamo sempre in relazione con ciò che è altro da noi. Nella Gestalt si parla di contatto , inteso come l’incontro che ci restituisce l’impatto della nostra azione. Questo impatto può diventare conoscenza, e secondo la Gestalt, il nostro sistema si acquieta seguendo un percorso che va dalla sensazione alla consapevolezza, dall’attivazione dell’energia all’azione, fino al contatto e alla conoscenza che da esso deriva. Questo processo, che culmina in una fase di integrazione, è chiamato ciclo dell’esperienza : descrive la modalità quotidiana e naturale con cui entriamo in relazione con le cose e con le persone.
Daniel Casarin: Perfetto. E questo, con l’ambito aziendale, che cosa c’entra?
Pietro Catania: È un aspetto, a mio avviso, preziosissimo. Chi entra nelle organizzazioni avendo in mente questo modello, ha la possibilità di osservare con maggiore chiarezza alcuni fenomeni. Faccio un esempio concreto: quando partecipiamo a una riunione, c’è spesso chi è subito focalizzato sull’azione — “Bene, cosa facciamo?” — mentre altri sono più attenti al dato sensibile dell’esperienza, a ciò che percepiscono nel momento presente. Questo è importante, perché il dato sensibile alimenta la nostra energia, ovvero la capacità di agire.
Quando entriamo in un gruppo, possiamo osservare che ciascuno si trova in un punto diverso del ciclo dell’esperienza: c’è chi è ancora nella fase percettiva, chi sta elaborando una consapevolezza, chi ha già un’energia attiva, chi è pronto a passare all’azione. Se questi movimenti non sono sincronizzati, è più difficile che il gruppo riesca ad agire in modo efficace.
La consapevolezza del ciclo dell’esperienza e della sincronia tra i suoi passaggi consente a un team di lavorare in modo più fluido ed efficace . Le persone riescono a percepire meglio il proprio contributo e la co-costruzione che avviene all’interno del gruppo.
Daniel Casarin: Estremamente interessante. È stato proprio un caso emblematico. A proposito, parlavi del ciclo dell’esperienza come uno dei punti centrali del libro. Hai accennato alla necessità di allineamento all’interno del team e alla consapevolezza condivisa.
Volevo chiederti: secondo te, qual è il livello di consapevolezza di questi temi all’interno delle imprese? Sono già in grado di trarne valore?
Te lo chiedo anche alla luce del tuo lavoro come consulente organizzativo.
Insomma, essere semplicemente consapevoli di queste dinamiche può già produrre un impatto concreto? Oppure si tratta, secondo la tua esperienza, di un percorso lungo, faticoso, complesso? Personalmente, anche solo conoscere questi concetti mi ha aperto a molte riflessioni.
Pietro Catania: Sono molto appassionato a questi temi, perché combinano una grande concretezza con una profondità teorica non banale. E non dimentichiamo che la parola “teoria” deriva da un verbo greco che significa “osservare attentamente”, non “astrarre”.
Chi legge questo libro, anche se inizialmente può trovarlo complesso per via del linguaggio adottato — che abbiamo volutamente mantenuto, in onore anche della ricca tradizione italiana della Gestalt, purtroppo poco conosciuta — può, con il giusto ascolto, arrivare a scoprire qualcosa che già sapeva, ma di cui non era pienamente consapevole.
Questo è ciò che rende la Gestalt così interessante: ci aiuta a sviluppare consapevolezza e auto-consapevolezza , non per portarci lontano dalla nostra esperienza, ma per farcela abitare pienamente, diventandone più “proprietari”, in modo gustoso e significativo.
L’idea è che, facendo questo lavoro, possiamo essere più soddisfatti del nostro presente e più efficaci nelle nostre azioni.
Ed è un lavoro semplicissimo, perché parte da un gesto di osservazione.
Il linguaggio, le parole che usiamo, non sono mantra da ripetere, ma strumenti che ci permettono di essere più presenti a noi stessi. Inoltre, aprono prospettive nuove, per me estremamente interessanti, rispetto al modo in cui usavo certe espressioni. Se interessa, posso fare un esempio molto concreto.
Vi parlavo del ciclo dell’esperienza , come descritto dalla Gestalt: il modo in cui entriamo in relazione con ciò che ci circonda. Vi descrivevo un fenomeno che si manifesta all’interno dei team, dove persone diverse — con momenti di vita differenti e sensibilità diverse — si muovono in asincronia. Questo può ostacolare il fluire dell’energia verso un obiettivo comune.
Spesso si parla di resistenza , un termine che vorrei introdurre. Quando ho iniziato a occuparmi di consulenza, la resistenza era vista come un nemico . Mi capitava di partecipare a conversazioni dove si cercavano i “resistenti”, quasi come se fosse necessario stanarli per mobilitare il sistema.
Ma la Gestalt propone un’interpretazione molto diversa: la resistenza, nel ciclo dell’esperienza, è semplicemente l’interruzione del flusso. Per esempio, può accadere che, partendo dalla percezione sensibile, non si riesca a trasformarla in consapevolezza: si rimane intrappolati nella sensazione , incapaci di andare oltre. Questo è un esempio di resistenza.
Tuttavia, la Gestalt non la considera un ostacolo da combattere, ma un’energia che sta semplicemente andando in un’altra direzione.
L’invito è quindi a cambiare prospettiva: invece di lottare contro la resistenza, domandiamoci in quale direzione si stia muovendo quell’energia. Che bisogno sta esprimendo?
Da questa prospettiva, la Gestalt ha sviluppato un’analisi molto articolata: inizialmente sei resistenze, poi una settima, l’ottava, e la ricerca è andata avanti. Queste categorie descrivono i modi diversi in cui l’energia può agire.
Questo approccio è molto utile nelle organizzazioni, perché consente di liberare energia, rimuovendo conflitti inesistenti e aiutandoci a comprendere meglio i bisogni espressi dalle diverse dinamiche interne.
Daniel Casarin: La parte sulla resistenza è stata una delle mie preferite, lo dico subito.
Tornando alla tua esperienza di consulente, oggi — nel 2025, ormai con il 2026 alle porte — cosa significa fare consulenza in un sistema complesso come quello aziendale, fatto di relazioni e interconnessioni?
Pietro Catania: Rispondo alla domanda con due prospettive: una riguarda la consulenza in generale, l’altra più specificamente il tipo di consulenza di cui mi occupo.
In generale, credo che i tre ruoli classici del consulente siano ancora vivi e attuali:
L’esperto , che porta conoscenze che l’organizzazione non possiede;
Il doer , le “mani in più” che servono per realizzare un’attività specifica e temporanea, senza la necessità di inserire una risorsa stabile;
Il facilitatore , un interlocutore esterno che aiuta a sbloccare processi che, per diverse ragioni, si sono inceppati. In questo caso, il consulente non fornisce direttamente soluzioni o contenuti, ma crea le condizioni perché l’organizzazione possa accedere meglio alle proprie risorse e conoscenze e agire con maggiore efficacia.
Questi tre ruoli restano centrali , anche perché la consulenza oggi incide sia sulla gestione ordinaria delle organizzazioni — che continuano a operare, a fare team building, ad aggiornare sistemi o piattaforme — sia sulle trasformazioni.
E proprio nelle trasformazioni il ruolo del consulente è fondamentale: aiuta le aziende a guardare oltre l’orizzonte , a interpretare meglio il mercato e a riflettere sulle proprie dinamiche interne. Porta competenze, strumenti, confronto critico e capacità di facilitazione.
Nel mio caso specifico, io e i miei colleghi ci occupiamo di sviluppo organizzativo. Insieme alla casa editrice accompagniamo questi contenuti anche attraverso collaborazioni con molti partner e aziende attive in questo ambito. Il nostro è un lavoro che viene dopo la strategia, quando serve accompagnare il cambiamento , rendendolo sostenibile e condiviso all’interno dell’organizzazione.
L’azienda definisce la propria strategia e, a quel punto, si chiede: come può la mia organizzazione esprimere al meglio gli obiettivi che ci siamo dati?
Nel farlo, spesso trova utile coinvolgere interlocutori esterni, partner terzi in grado di abilitare risorse, attivare dinamiche e aiutare a ripensare concetti — come quello della resistenza, di cui accennavo prima.
Questi ruoli, a mio avviso, restano essenziali. Sono figure che permettono all’organizzazione di affrontare ciò che cambia. E ciò che cambia è molto: le nuove tecnologie, il rapporto tra persona e tecnologia, i mutamenti negli assetti di mercato.
Stiamo già assistendo a una possibile inversione delle logiche di mercato aperto, con l’emergere di dinamiche protezionistiche che, al di là dei giudizi di merito, avranno un impatto concreto. Le aziende dovranno comprendere come rispondere , e i consulenti saranno al loro fianco.
Daniel Casarin: Sì, condivido. Anche nella nostra esperienza, il percorso è stato profondamente trasformativo, proprio all’interno dell’azienda. Quello che una volta era un modello classico di agenzia è diventato un vero e proprio approccio consulenziale, specializzato nella trasformazione digitale e nella crescita aziendale.
Molti dei temi che hai toccato li ritrovo nel nostro vissuto quotidiano. Soprattutto, emerge la necessità di un insieme di ruoli, non più uno solo, e la loro articolazione non è più rigida ma dinamica e integrata.
Pensando alla tua esperienza recente — diciamo dal 2019-2020 in poi, periodo che ha segnato un’accelerazione fortissima della trasformazione digitale — ti chiederei: quale pensi sia oggi il peso di questo ruolo consulenziale per il sistema imprenditoriale italiano? Parlo in particolare di quel 99% di piccole e medie imprese che costituiscono il cuore dell’economia italiana.
Pietro Catania: Credo che si stiano aprendo spazi estremamente fertili, ma che richiedono alla consulenza una profonda autoriflessione.
Per molto tempo, il consulente dell’impresa era il commercialista, il legale, a volte il notaio: figure con competenze tecniche molto specifiche, che instauravano una relazione basata su una forte asimmetria.
Il consulente sapeva, l’imprenditore no. Era una relazione di dipendenza: l’imprenditore ascoltava, apprendeva, seguiva le istruzioni — spesso anche per ottenere vantaggi immediati.
Abbiamo ereditato questa idea del consulente come figura forte , esperta, che sa cosa fare. Poi è arrivata la rivoluzione tecnologica e con essa il consulente tecnico: anche qui un interlocutore con un sapere strutturato e necessario. L’imprenditore magari non capiva nel dettaglio, ma sapeva che doveva affidarsi.
Oggi, però, il contesto è cambiato. Gli imprenditori cercano partner , non più esperti che si pongono “una spanna sopra”, ma consulenti capaci di accompagnarli nel loro mestiere, fianco a fianco.
Il consulente entra in uno spazio che è spesso intimo, perché per l’imprenditore l’azienda è parte della propria identità. Per questo, deve farlo con rispetto, umiltà e insieme con autorevolezza.
L’imprenditore chiede professionalità profonda , ma non vuole che gli venga spiegato “come si fa”. Vuole essere accompagnato nel capire meglio cosa fa, perché lo fa bene e come può farlo ancora meglio.
Ed è qui che, secondo me, approcci come quello della Gestalt possono offrire moltissimo. Aiutano il consulente a sviluppare consapevolezza , a stare nel dialogo, ad ascoltare profondamente.
Il consulente efficace non è quello che dice: “Stai sbagliando, fai come ti dico io.”
È quello che dice: “Questa cosa che fai ha valore. Se ti interessa, possiamo esplorarla insieme, capire come potenziarla, come renderla ancora più tua, più grande, più gustosa.” Oppure: “Vediamo insieme come questa intuizione che hai può diventare un asset strategico.”
Può essere un’opportunità per coinvolgere di più e meglio le tue persone, perché possono contribuire in modo più incisivo e, al tempo stesso, trarne maggiore soddisfazione. Questo, a sua volta, può far crescere l’azienda.
Oppure, come imprenditore, puoi riflettere su come ripensare il tuo ruolo per aprire spazi a risorse, profili e competenze che oggi non fanno parte della tua organizzazione, ma che potresti attrarre. Perché? Perché possono alleggerirti da quella fatica che ti consuma le ore notturne, e aggiungere un pezzo di soddisfazione. Ti fanno sentire meno solo nel tuo lavoro, più concentrato sulla tua passione e sulle tue prospettive, sapendo di costruire insieme ad altri.
Altri con cui si sviluppa fiducia, un riconoscimento reciproco del contributo che portano, delle competenze che hanno, e di come valorizzano il tuo progetto imprenditoriale.
Questi tre aspetti sono ambiti su cui i consulenti possono ripensare profondamente il proprio ruolo.
Chi lo sta facendo, comincia a lavorare con imprenditori che alcuni definiscono “illuminati” — definizione che fa un po’ sorridere — ma che in realtà sono semplicemente buoni imprenditori, con la voglia di imparare, e che apprezzano professionisti capaci di mettersi accanto a loro con rispetto.
Questo, a mio avviso, apre una grande possibilità. In Italia, purtroppo, la consulenza — e parlo anche per me, con spirito autocritico — è stata spesso percepita come saccente, allontanando molti imprenditori e facendo perdere opportunità preziose al nostro sistema Paese.
Altri sistemi, che oggi guardiamo con invidia, si sono sviluppati grazie a una partnership diversa tra consulenza e imprenditorialità, basata su linguaggi nuovi e su un’umiltà condivisa . E questo è qualcosa che a volte facciamo ancora fatica a vedere.
Daniel Casarin: Sì, c’è sicuramente ancora molto da fare. La prima cosa che mi viene in mente è che dietro questo ruolo c’è una responsabilità enorme. Una responsabilità che va coltivata e sviluppata, al di là dello specifico approccio — come la Gestalt, che hai descritto molto bene — e che può davvero aiutare qualunque consulente, in qualsiasi settore.
Ecco, secondo te, come possiamo comprendere meglio questa responsabilità e diventare più consapevoli, prima di rischiare di fare danni?
Pietro Catania: Non voglio certo dare l’idea che i consulenti siano figure che generano danni. Più che altro, ciò che a volte dispiace è vedere aziende che potrebbero davvero trarre valore da un contributo consulenziale, ma che restano diffidenti. E io stesso, lo ammetto, faccio fatica a comunicare questo valore.
Avverto spesso un pregiudizio nei nostri confronti. E allora mi chiedo: come possiamo diventare interlocutori migliori?
Una strada, come accennavi, è proprio quella della consapevolezza.
Personalmente, ho trovato molto utile un testo che mi ha spinto a riflettere sul mio “qui e ora”, a osservare la mia esperienza concreta.
E poi mi ha fatto porre una domanda essenziale: qual è l’impatto delle mie azioni?
È una riflessione che nasce, in parte, dal lavoro di Kurt Lewin, soprattutto nei suoi ultimi anni, e che è stato poi proseguito da altri attraverso il National Training Laboratories.
L’obiettivo è diventare più consapevoli del divario tra le nostre intenzioni e l’impatto reale che produciamo. Con l’umiltà, semplice ma potente, di chiedere all’altro: che cosa hai sentito? che cosa hai ricevuto?
Per me, come consulente, è stato un percorso tutt’altro che immediato. Ma fondamentale.
Ero abituato a pensare che, come consulente, dovessi presentarmi come colui che sa, non come qualcuno che fa domande. Invece, questo lavoro mi ha insegnato a essere più curioso, più capace di ascoltare.
Il cambiamento è iniziato quando ho cominciato a chiedermi come le dimensioni descritte nel libro si manifestassero nel mio qui e ora, prestando attenzione alle mie sensazioni.
Fortunatamente, oggi viviamo in un contesto che riconosce sempre più il valore delle emozioni e delle sensazioni, perché sappiamo meglio quanto influenzano la percezione e la conoscenza che abbiamo del mondo.
Mi sono anche reso conto di quanto sia importante mobilitare la mia energia in modo ordinato. A volte mi lanciavo nelle azioni senza averne davvero la forza: a volte troppo eccitato, altre volte scarico, ma comunque spinto dal ritmo del “si devono fare le cose”.
Uno degli aspetti che amo della Gestalt è proprio la consapevolezza rispetto a ciò a cui prestiamo attenzione.
Una volta mi fecero una domanda, in inglese: What do you know about what you notice?
Che cosa noti di ciò a cui stai prestando attenzione? Che cosa ha catturato il tuo sguardo?
Questa domanda mi ha aiutato a comprendere un altro aspetto fondamentale della Gestalt: la teoria dei bisogni ( need-based theory ). L’idea di fondo è che agiamo per rispondere a dei bisogni, ma spesso non siamo consapevoli, almeno all’inizio, di quali siano davvero.
Lo capiamo solo osservando le nostre azioni e reazioni.
Faccio un esempio molto semplice: quando ho mal di denti, mi accorgo di tutti i cartelli delle farmacie intorno al mio ufficio. Perché? Perché quel bisogno ha acceso la mia attenzione.
Se non percepisco un bisogno, non si attiva in me quella dinamica, e quindi non vedo tutta la ricchezza che c’è intorno.
Più è forte il senso del bisogno, più intensa è la domanda. In altre parole: maggiore è la curiosità, più grande sarà la capacità di cogliere la complessità e le risorse della realtà.
E infatti, uno degli aspetti che più mi appassionano nel lavorare con gli imprenditori è incontrare persone estremamente curiose. Ognuno a modo suo, ma accomunati da una curiosità che li ha spinti a cercare risposte nella realtà.
La Gestalt è un percorso che aiuta proprio a coltivare quella curiosità.
Daniel Casarin: Direi che ci siamo. Perfetto, Pietro. Solo un’ultima riflessione: la visione del futuro del ruolo del consulente. Ne abbiamo accennato prima, parlando della responsabilità del ruolo oggi. Ma fra dieci anni, con l’accelerazione tecnologica, l’intelligenza artificiale e tutto il resto, come pensi possa evolvere questo ruolo?
Pietro Catania: Non solo può, ma deve evolvere. E dico una cosa forse ovvia, ma importante: anche il nostro ruolo, come ogni altro, deve integrarsi con i nuovi strumenti a disposizione.
Questo offre enormi potenzialità. Un manager con cui lavoro una volta mi disse: “Molti si lamentano dell’intelligenza artificiale, ma io quando ne ho bisogno, uso la mia. Fa quello che le chiedo, lo fa in fretta, bene, e non si lamenta né mi chiede un aumento.”
Al di là del tono provocatorio, oggi abbiamo strumenti che ci assistono e che dobbiamo imparare a usare, con intelligenza.
Questo significa capire come funzionano, come integrarli utilmente nel nostro lavoro e dove, invece, possiamo aggiungere valore umano.
E soprattutto, dobbiamo superare la paura della sostituzione . Perché la prima forma di sostituzione nasce quando cediamo alla sensazione depressiva di sentirci già superati.
Ma il bello di noi esseri umani è proprio la capacità di adattarci. Come consulenti, dobbiamo imparare a usare questi strumenti, certo, ma anche a ripensare forme nuove, originali e creative del nostro contributo.
Spesso ci è stata raccontata l’innovazione in modo un po’ “Disney-style”, giocoso. È vero: l’innovazione ha una dimensione ludica, come nel bambino. Ma anche il gioco, per il bambino, è una fatica.
I bambini soffrono nella competizione, si frustrano quando non riescono. Il gioco può essere divertente, ma non lo è sempre. Quando montano i Lego e si smontano tra le mani, provano frustrazione.
Questa è una dimensione che dobbiamo tornare a considerare.
E qui la Gestalt ci offre una lezione importante: la frustrazione è una forma di energia che spinge in un’altra direzione, un segnale a cui prestare attenzione.
Senza quella fatica, senza quel coraggio di affrontare la salita, come consulenti rischiamo di restare indietro.
Quando ho iniziato a fare questo lavoro, c’era il boom delle certificazioni di qualità. Alcuni si sono comprati la seconda casa, l’auto costosa. Poi quel mercato si è esaurito.
Chi ha saputo reinventarsi è andato avanti. Chi era troppo ancorato alla propria posizione non si è più ripreso.
La consulenza è un mestiere che può vacillare. Il mio invito, a me stesso e a ogni consulente, è di rimanere curiosi per restare rilevanti.
E per farlo, serve fatica. In questo, credo che il libro di cui abbiamo parlato possa aiutare: ci spinge a osservare l’esperienza presente, per scorgere i semi del futuro.
Non ho la presunzione di dire come sarà quel futuro, ma credo sia importante imparare a costruirlo, a partire da ciò che la nostra esperienza ci mostra oggi.
Se non prestiamo attenzione alla nostra esperienza presente, non saremo protagonisti di ciò che verrà. Ma se impariamo ad esserne consapevoli, potremo davvero contribuire a costruirlo.
Daniel Casarin: Direi che è una chiusura perfetta. Nulla da aggiungere. Pietro, grazie ancora per il tuo tempo, per aver condiviso esperienze, riflessioni, consigli e ispirazioni.
E grazie anche per aver portato questo approccio in Italia. Speriamo davvero di rivederci presto, magari alla prossima edizione di qualcosa di altrettanto interessante.
Pietro Catania: Con molto piacere. Grazie a voi, a Adv Media Lab, e a te Daniel. È stato davvero un bel dialogo.
Grazia Sigismondo. Grazie a tutti.
Daniel Casarin, imprenditore ed analista indipendente, si dedica al mondo della comunicazione, del marketing, del business design e della trasformazione digitale. Con oltre 20 anni di esperienza, esplora l’impatto delle tecnologie emergenti in ambito economico e organizzativo. Attraverso Adv Media Lab e altre iniziative imprenditoriali, collega la sua expertise multidisciplinare al mondo dell’impresa.