Qual è il prezzo che l’Italia sta pagando per la sua evidente trascuratezza verso la ricerca e lo sviluppo?
Oggi, destiniamo l’1,3% del PIL a ricerca e sviluppo, una cifra che non solo si colloca significativamente al di sotto della media europea, ma che segna un preoccupante divario.
Questo confronto impietoso solleva più di una questione: come possiamo sperare di rimanere competitivi in un mondo sempre più dominato dall’innovazione e dalla conoscenza se si continua a investire così poco nelle fondamenta del proprio futuro economico?
E se dall’alto abbiamo solamente questa situazione, fortunatamente scopriamo uno spaccato (troppo) piccolo dell’Italia manifatturiera, piccolo ma prezioso. Imprenditori e samurai di Fabio Cappellozza, Gianni Dal Pozzo e Mariano Maugeri edito da Este, racconta 15 storie tra successi, sconfitte, atti solitari di coraggio e intuizioni geniali che sembrano obbedire alla ricerca di se stessi e del delicato meccanismo che regola il funzionamento del capitale umano.
Un’ottima fotografia che ci racconta del cuore avventuroso di tutti quegli imprenditori che non sembrano affetti da quella sindrome da fine di un ciclo storico o verso quel progressivo soffocamento di audacia di vivere il reale e l’impulso ad inseguire i propri sogni. Il prezioso lavoro svolto dagli autori e il racconto degli imprenditori mostra come, nonostante il vuoto della politica, si possa fare molto, ogni giorno.
Emerge soprattutto come ci ricorda Marco Vitale nella prefazione (citando il pensiero di Carlo Cattaneo): “l’intelligenza (che viene prima della conoscenza) e la volontà sono i due grandi motori dello sviluppo attraverso l’impresa – e non il capitale, come hanno a lungo sostenuto i professori americani”.
Servono esempi e condivisione (strutturale) di esperienze come quelle raccontate in Imprenditori e Samurai, soprattutto per evitare di rimanere solo aggrappati al declinante marchio di “seconda manifattura europea” e ad un’ultraliberismo senza troppe vie d’uscita.
Questo libro è un buon appello che chiaramente non basta.
Gli Stati nazionali, soprattutto quelli più deboli, cedono quote di potere sempre più grandi ai gruppi multinazionali. Nel caso italiano, i settori-chiave dell’economia nazionale sono già in mani straniere. All’Italia servono imprese e a queste serve lo Stato.