Cristian Maddaloni – è un consulente specializzato in Inbound Marketing e Operations presso Adv Media Lab.
Una vita passata nella creatività, prima come copywriter, poi come direttore creativo e infine come founder dell’agenzia di comunicazione Mission To Heart. Abbiamo intervistato Arnaldo Funaro sul suo ultimo libro “All U love Is Need”.
Autore di diversi libri e soprattutto libri diversi tra loro: “Diversamente Occupati “, raccolta pubblicata da Resistenza Umana (Guerini&Associati) nata dall’attività come vignettista per l’Unità, Il Fatto Quotidiano e Il Sole 24 ORE; “Un bimbo mi aspetta “, pubblicato da LOG (Guerini&Associati), storia di un’adozione internazionale e nato dall’omonima pagina Facebook, attualmente la più grande community dedicata al tema; “#ScappaConMeaRomaNord ” (Albatros), romanzo teen scritto con lo pseudonimo di Giulio Agricola.
“Di lui si dicono molte cose.” – afferma l’autore – “Quelle brutte sono tutte vere”.
Lo ha intervistato per noi Serena M. Calabrò , Project + Operation manager consultant + ABM specialist.
A-U-L-I-N, un gioco di parole interessante per dare un nome all’agenzia di cui parla il tuo libro. Un racconto che parte proprio dal contesto lavorativo di un’agenzia e che affronta, a tratti stereotipandoli (ma neanche troppo), episodi e vicende tipiche del contesto.
A questo si aggiunge una visione distopica di un futuro in cui la tecnologia è diventata incontrollabile nella sua evoluzione, ma controllata nella sua applicazione. Un futuro che sembra lontano, ma che, proprio grazie allo sviluppo tecnologico e scientifico in corsa, potrebbe essere quasi vicino.
All U Love Is Need è pieno di riflessioni sul mondo del lavoro nella sua totalità, sul valore del tempo e sulle persone.
Dreamjob è un esperimento. Un modo per sfruttare il tempo del sonno in modo produttivo, dedicando quello di veglia alla libertà personale. Da dove deriva l’idea principale del romanzo?
Che tu ci creda o no, l’idea arriva dalla mia insonnia. Non dormo molto e la mia giornata di solito inizia alle tre di notte. Dipende da molti fattori, non ultimo il fatto che per un periodo piuttosto lungo della mia vita in agenzia, si faceva sempre molto tardi e la cosiddetta nottata era diventata quasi uno standard.
Se ci pensi, spesso ci diciamo che avremmo bisogno di giornate di venticinque, ventisei o trenta ore per fare tutto. Ma mi sono reso conto che il tempo che possiamo dedicare a noi stessi, prescindendo quindi dal lavoro, è davvero roba di trucioli di ore e minuti.
Così mi sono domandato: cosa accadrebbe se potessimo lavorare di notte , mentre dormiamo e avere il giorno libero di vivere le nostre vite? Trent’anni fa sarebbe stato un romanzo fantascientifico ambientato in un futuro lontano. Oggi, tecnologia alla mano, ne è uscito un romanzo distopico perché sono convinto che se si volesse, sarebbe possibile arrivarci.
Vieni dal mondo della comunicazione e delle agenzie. Quanto c’è di autobiografico nel libro?
Moltissimo. I personaggi non sono reali, ma autentici. In ognuno di loro c’è parte di me, nel bene come nel male, ma anche parte di tante persone che ho incontrato nella mia carriera. Una cosa che sfugge a molti è che ognuno di noi è tante persone nello stesso corpo. Il nostro comportamento cambia spesso in base al periodo che viviamo, al ruolo che ricopriamo e in assoluto a un continuo adattamento che può farci evolvere o abbrutirci in base a come reagiamo. Io sono stato il mio peggior o miglior collega (e di conseguenza anche per gli altri), un pessimo e un bravissimo capo, ma sempre in momenti diversi. A volte sono cresciuto, altre sono tornato indietro. È complicato. Lo è per tutti, ma difficilmente le persone lo ammettono.
Nel libro la protagonista è una donna, che è la stessa che ha l’intuizione che scioglie la storia. Oggi più che mai ci sono ampi dibattiti intorno al “genere”, alle sue differenze, convergenze e divergenze. Come mai hai scelto una donna come voce del romanzo?
È stata una scelta naturale. Non voglio offendere i colleghi uomini, ma devo dire che le donne hanno qualcosa in più, forse perché la società in ogni sua parte, compreso il mondo del lavoro, e sicuramente quello delle agenzie, le ha sempre tenute ai margini rendendo il loro cammino molto più difficile. Siamo tutti impregnati di una cultura patriarcale e maschilista che è difficile scrollarsi di dosso. Calarmi nella vita di una donna, peraltro lesbica, mi ha permesso di sprofondare nelle difficoltà di una persona di valore come Alessandra e capire come venirne fuori, o anche restarne prigioniera.
A un certo punto del romanzo, Alessandra, la protagonista, cita Black Mirror, soffermandosi sul tema del futuro possibile, non così lontano ma appena dietro il bivio, e trovando stretta correlazione tra il focus della serie e Dreamjob. Poche righe di meta-romanzo (e di meta-cinema), che racchiudono una riflessione. Quanto c’è di Black Mirror in All You Love is Need e quanto c’è di All You Love is Need in Black Mirror?
Molto poco. In un verso come nell’altro. Black Mirror, che adoro, ha questo approccio in cui quel futuro che raccontano è possibile. Ma culturalmente parlando credo sia l’ultima cosa ad avermi influenzato. Sono un lettore da competizione. Sono cresciuto con gli Urania che mio padre aveva comprato su Portaportese, un intero sacco di iuta. Poi da studente di Storia, mi sono innamorato dei futuri alternativi e non ho mai smesso di leggere la fantascienza migliore, quella che conta e attraverso la quale gli autori hanno semplicemente raccontato la società in cui vivevano, drammatizzandola attraverso la science fiction. La fantascienza non è uno svago, ma un monito.
Aumenta il potenziale della tua azienda. Un messaggio alla volta.
L’alternanza tra il tempo del lavoro, quello personale e quello vuoto è un tema particolarmente presente nel contesto attuale. Quanto è difficile oggi conciliare il lavoro con la vita personale?
Il lavoro dà dipendenza. Non indipendenza. Lo stipendio, a un certo punto, è l’ultima cosa che bramiamo sul posto di lavoro. E onestamente, credo che lo spendiamo pure male, proprio perché mancando il balance tra vita personale e professionale, da bravi consumatori tendiamo a riempire quell’enorme vuoto fatto di pochissimo tempo attraverso acquisti di qualsiasi genere. Faccio io una domanda a te: quante cose hai acquistato senza averne bisogno solo per appagare un senso di incompletezza? Quante volte, invece, sei uscita dall’ufficio o da casa, abbandonando la serie TV del momento per camminare in silenzio in città? O per sederti su una panchina in un parco e farti amici il silenzio e la noia?
Domande generali invece: cosa intendiamo per vita personale? La famiglia, la spesa? Il padel? Io non lo so più. Quando abbiamo tempo per non avere obblighi, corriamo subito a trovarne uno perché siamo disegnati per la performance, anche quando non ce n’è bisogno. Lo vedo anche con mia figlia. Avevamo riempito la sua agenda con così tante attività che non aveva un minuto per rompersi un po’ i coglioni senza far nulla. A un certo punto abbiamo dimezzato gli impegni e le abbiamo restituito la noia e di conseguenza l’introspezione.
La crisi della narrazione – Byung-Chul Han
Ottima riflessione. Il concetto di vita personale ha assunto significati e confini labili, difficilmente individuabili e, nella loro essenza, estremamente differenti, personali e non sempre chiari, direi quasi mai. Direi che la vita personale, a tratti, ci spaventi, proprio per i suoi vuoti, a cui non siamo abituati. Viviamo costantemente nel tentativo di riempirli, anche se li bramiamo formalmente. D’altro canto, alcune aziende hanno iniziato a condurre esperimenti relativi alla riduzione della settimana o dell’orario lavorativo, registrando sensibili miglioramenti relativi alla produttività e alle performance. Ma ho letto pochi approfondimenti su come impattino queste scelte, realmente, nella vita personale degli individui. Cosa ne pensi?
Ridurre l’orario significa ridurre lo stipendio? Ricordati che siamo in Italia, il Paese in cui lo smart working era la grande innovazione e oggi, a emergenza finita, tutti vogliono tornare alla presenza. Non i lavoratori, le aziende. Ridurre la settimana lavorativa significa che dovrai assumere più persone per portare a termine gli obiettivi aziendali. Non accadrà e finirà come già vedo spesso tra alcuni amici e amiche: part time sul contratto, ma tra una cosa e l’altra quasi lo stesso orario di lavoro. Geniale.
Quanto sono pronte le aziende (e noi) a ripensare in modo innovativo il tempo del lavoro?
Non lo sono affatto. Poi arrivano gli scossoni come la pandemia, e tutti sono obbligati, volenti o nolenti, a fare i conti con l’arrivo di un nuovo modo di stare al mondo e sul lavoro. Questi scossoni possono essere di ogni genere e quando arrivano rappresentano un punto di non ritorno dove progressivamente le aziende si trovano a ripensarsi secondo nuovi paradigmi. Nel farlo, i e le dipendenti assumono attitudini davvero diverse rispetto al proprio tempo. Attitudini che nessun luogo di lavoro può fingere di non vedere. In questo senso, un ottimo esempio è la Rivoluzione Francese (lo so è un bel salto): una volta trasmessi alla società i valori di uguaglianza, non c’è stata Restaurazione capace di riportare l’orologio della storia indietro. Ecco, nella società funziona così. E lo stesso vale per il mondo del lavoro.
Come immagini il mondo del lavoro tra 10 anni?
Si lavora di notte e si vive di giorno.
Dai scherzo. Non lo so. Credo che in linea generale migliorerà, come lo ha fatto negli ultimi anni, dopo la grande bufala del precariato e degli stage gratuiti. Il sistema non stava in piedi, perché dal lavoro (vero) delle nuove generazioni dipende sempre la stabilità dello stato sociale. Alla fine, non tanto per il rispetto dei lavoratori, ma per la sostenibilità del sistema, il legislatore tende a migliorare le cose. Le aziende seguono.
Ci sono dei settori in cui è più evidente l’intromissione del lavoro nel tempo personale?
Onestamente non lo so. Mi viene da dire che tutto il settore privato è sicuramente più sotto pressione rispetto al pubblico dove a un certo punto, se ti fai cadere la penna, nessuno può davvero metterti con le spalle al muro. Piuttosto, se penso agli ospedali, le ore di lavoro sono un vero inferno di responsabilità senza gli strumenti adeguati per combatterlo.
Il libro è uscito in piena esplosione dell’IA. Questa rivoluzione si inserisce nel libro? In che modo?
All U Love Is Need è nato soprattutto quando il metaverso iniziava a diventare una cosa seria. Meta ha fatto e fa campagne a spron battuto sui vantaggi del metaverso e questo è stato sicuramente uno degli elementi che ha convinto Angelo Guerini a investire in questo piccolo romanzo. Ma credo che lui sia anche più visionario di me.
L’IA intesa come ChatGPT, invece, è esplosa quando ormai il libro era praticamente finito, ma avendo scritto una cosa del genere seguivo l’evoluzione di questi strumenti ben prima che diventassero tanto popolari.
Viviamo in un contesto in continuo cambiamento, un cambiamento che spesso è difficile rincorrere, ma necessario per la sopravvivenza. Cosa devono fare le aziende per sopravvivere al cambiamento e alla complessità del contesto?
Dovrebbero fare quello per cui sono nate: vedere i problemi e trasformarli in soluzioni. Un nostro cliente d’agenzia, per esempio, ha un CEO decisamente attento ai cambiamenti. Quando è entrato in azienda ha fatto sostituire tutti i vecchi computer con laptop di ultima generazione, ha dato a tutti la possibilità di connettersi ovunque fossero, ha adottato lo smart working in tempi non sospetti.
Quando è arrivata la pandemia, dal punto di vista operativo, credo non se ne siano quasi accorti. Sopravvivere significa comunque annaspare, avere il fiato corto. E con il fiato corto non vai lontano. Anticipare il futuro significa rendersi conto che è già arrivato e che per farti accogliere nel migliore dei modi, devi abbracciarlo.
Cosa devono fare le persone?
Qui la questione è decisamente più complicata. Le persone sono le vite che vivono, gli impegni e gli obblighi che hanno, le ambizioni che perseguono, anche quando si tratta di rifare il bagno di casa. Anche quella è un’ambizione. E per realizzarla, devi poter guadagnare abbastanza. Quindi, io non credo mai molto a quelli che dicono: ho mollato tutto, preferisco vivere con poco ma essere felice. Quello è vivere alla giornata, pensando che i giorni saranno tutti uguali, mentre invece sono tutti potenzialmente imprevedibili.
Io una quadra non l’ho ancora trovata.
“Le persone sono le vite che vivono, gli impegni e gli obblighi che hanno, le ambizioni che perseguono. E per realizzarle, devi poter guadagnare abbastanza.”
Quali saranno le skills imprescindibili per le aziende e per le persone nel prossimo futuro?
Ne basta una fondamentale: guardare oltre . Oltre se stessi. Oltre i luoghi comuni. Oltre la paura del nuovo.
Oltre se stessi , perché ci obbliga a vederci da fuori e scoprire che spesso non abbiamo né i pregi né i difetti che ci assegniamo da soli.
Oltre i luoghi comuni , perché onestamente servono solo a spaventare o a lasciare che tutto ciò che c’è di sbagliato resti tale e quale.
Oltre la paura del nuovo , perché è delle cose vecchie che dovremmo aver paura visto come è andato il mondo finora.