Roberto Siconolfi – classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo.
Dagli albori della storia umana lavorare è una delle azioni principali. Ma nel suo corso la figura del lavoratore ha subito evoluzioni tecniche e di concezione.
Così come è cambiato l’uomo, è cambiato il mondo, è cambiata la società e il modo di fare economia.
Ma più propriamente è cambiato il modo di produrre, in base ai mezzi, ed è cambiata l’idea/concetto/percezione del produrre e del lavorare.
Se nell’antichità lavorare portava dentro di sé ancora un contatto con la vocazione, e dunque con una qualità interiore, man mano questo contatto è andato perso.
Ma non tutto in realtà va perso, come ci insegna la vita e la stessa storia umana .
E certe spinte interiori persistono anche nelle credenze generali più appiattite e materialiste.
In quest’articolo parleremo di:
Il lavoratore nella vulgata comune
Così come per la figura dell’imprenditore, sul quale abbiamo già scritto a riguardo (link), anche il lavoratore viene ridotto, nella vulgata comune, ad un soggetto fondamentalmente economico .
Il lavoratore come semplice produttore di beni e ricchezza, o peggio dipendente dalla grande macchina della produzione, o peggio anello della catena di montaggio.
D’altro canto, il lavoratore stesso, si concepisce in questi termini, pensando al suo ruolo come una mera qualifica, o peggio mansione da poter apportare, o peggio, da vendere nel mondo del lavoro, per avere in cambio i soldi necessari per vivere e pagare le bollette.
Ma a questa idea/concezione/percezione generale molto hanno contribuito certe filosofie, sociologie e concezioni del mondo fondamentalmente materialiste , dove l’economia, e la vita umana, vengono ridotte ad espletamento delle funzioni corporee e materiali.
Tutt’al più, secondo alcuni di questi, vi è la necessità di riscatto, di rivoluzione, contro coloro che in qualche modo hanno cospirato per tutto ciò.
Lavorare per qualunque fine, pur di portare soldi o la pagnotta a casa, cimentandosi in qualunque mansione anche se non corrisponde alle proprie vocazioni, e magari opporsi a coloro che hanno creato questo sistema.
Ma non sempre è stato così, e forse nemmeno oggi.
Algocrazia – Intervista a Francesco Perillo
L’evoluzione del lavoratore: il mondo moderno
La questione del mondo moderno, ovvero di quel complesso di weltanschauung , istituzioni politiche, economiche, sociali, culturali e tipo umano che succede il medioevo, è che esso è un mondo fondamentalmente desacralizzato .
Tale desacralizzazione investe la concezione del lavoro, la concezione economico-politico-sociale e filosofica che sta intorno al lavoro, e la vita stessa del lavoratore.
Di conseguenza il lavoratore non è più un soggetto che produce sulla base della vocazione, bensì il lavoratore, e il lavoro, divengono parte di un ingranaggio, di un sistema.
Sul versante strettamente economico, il lavoratore diviene forza lavoro all’interno del sistema economico specifico del mondo moderno, il capitalismo, frutto di rivoluzioni industriali, di innovazioni tecniche, e dello slegamento sempre più progressivo dell’uomo, dell’individuo, dalle comunità di riferimento (famiglia, villaggio, territorio, ecc.).
Insomma il lavoro e il lavoratore come fondo di utilizzo, in tutto quel meccanismo complessivo che Martin Heidegger ha visto nell’avvento della tecnica moderna , Karl Marx nel sistema di sfruttamento capitalistico, che i capitalisti e taluni liberali hanno visto nella possibilità di fare business e impresa.
Un clima mentale che va incontro all’autosvalutazione, alla perdita di senso della vita , oltre che a pratiche di sfruttamento effettivo e assistenzialismo diffuso.
L’evoluzione del lavoratore nelle varie concezioni
I liberali e i socialisti, ma più propriamente i marxisti, hanno sì da un lato messo in evidenza le qualità positive del lavoro e del lavoratore nel loro tempo, ma dall’altro hanno schiacciato entrambi su piani economico-materiali, e al massimo valoriali.
I liberali, hanno conferito al lavoratore e al lavoro il fine dell’espressione della libertà individuale e della proprietà privata (Locke), del benessere (Mill, Hayek), di creatività, iniziativa e innovazione (Hayek, Schumpeter). Ma anche aspetti che potremmo definire più materiali, come l’essere merce tra le altre (von Mises), o addirittura finalizzato alla lotta per la sopravvivenza (Spencer).
Dall’altro lato, invece, socialisti e marxisti sembrano andare ancora oltre questa diagnosi, accentando meno l’aspetto della libertà individuale, ma più quello della repressione anti-umana attuata dal sistema dominante e della relativa necessità di liberazione. Al fine di liberare l’essenza del lavoratore imprigionata dall’alienazione dovuta al capitalismo (Marx), attraverso lotte per i diritti (i socialisti riformisti) o la lotta di classe rivoluzionaria (i leninisti).
Di altro avviso invece certe culture conservatrici, talune confluite nei fascismi, che vedono nel lavoratore un membro di corporazione al tempo della modernità (Spirito), attuatore spirituale e creativo (Gentile) o addirittura un guerriero alle prese con le forze della tecnica (Jünger).
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Il lavoratore: tra postmodernità e postcapitalismo
Ma gli ultimi tempi hanno riservato una nuova connotazione alla figura del lavoratore.
Il mondo postmoderno e post-capitalistico , con le sue élite di riferimento, crea una nuova mentalità: il profitto, l’accumulazione, l’individualismo, l’Ego, diventano obsoleti o sbagliati, perché contrari, ad esempio, a certe dinamiche, molto ideologiche a dire il vero, della natura.
Un passaggio non definitivo, che promuove da un lato un modello pauperistico, quindi anti-profitto, che promuove redditi universali, e meno consumo, proprietà e ovviamente produzione.
Il lavoro e il lavoratore, almeno in linea di tendenza, può essere sostituito dalle macchine, sempre più sofisticate, intelligenti e produttive, l’uomo diviene periferia e non più centro dell’ecosistema.
Un nuovo modello di vita fondato su resilienza, frugalità, riciclo, economia circolare, sostenibilità: sono questi i dettami dell’Unione Europea!
In fin dei conti, l’uomo trova nuovi modi per dar sfogo al suo spirito d’avventura, avrebbe detto Schumpeter in merito alla sua prognosi circa un p ossibile superamento del capitalismo .
Tuttavia, la macchina che sostituisce l’uomo per liberarlo dalla fatica, porta all’istupidimento dell’uomo, la libertà dell’uomo da lavoro ed economia porta a un mondo di diseredati senza né arte né parte (il quinto stato citando Julius Evola), l’uomo come periferia dell’ecosistema porta, con non troppi scrupoli, l’uomo al di fuori dell’ecosistema.
Il lavoratore è un nuovo soggetto creativo?
Ma vi può essere un altro modo per vivere il tempo contemporaneo e postmoderno, sul quale tanto abbiamo scritto in questa sede? Probabile!
Un modo per liberare l’uomo, almeno partendo da singoli e piccoli gruppi, dal lavoro come pena, fatica, e che persiste a livelli parossistici nella manodopera di certe grandi multinazionali.
La schiavitù è tale non in quanto decisa da qualcuno, ma perché il soggetto stesso si ritiene intimamente uno schiavo, parafrasando sempre Evola.
Forse è bene tornare a dare il giusto peso alla vocazione , a quella potenza interiore che determina la stessa azione nel mondo economico.
Se il mondo postmoderno e post-capitalistico può fare a meno di me in quanto lavoratore, allora io posso fare a meno di esso in quanto prestatore di manodopera.
Si ritorna alla vocazione dunque, a fare ciò che si sente interiormente, certo non eludendo la dovuta fatica, ma dando grande spolvero alla creatività, e alla volontà, ora intesa in un senso sovra-individuale.
Un nuovo soggetto creativo , che fonde la figura del lavoratore con quella dell’imprenditore, con il dovuto uso innovativo e altrettanto creativo di mezzi tecnici e tecnologici (e direi che nella nostra epoca ce ne sono in abbondanza e di varia tipologia).
Webinar & Live Q&A – 17 Novembre