Questa edizione del Product Management Day è stata molto partecipata: 350 persone presenti all’evento, 115 aziende. Possiamo quindi dire che in Italia si sta mettendo in discussione il modo di fare product management? E come si inscrive l’evento dedicato di 20tab in questo processo di diffusione della cultura di prodotto?

Raffaele: Ma allora intanto sì, la partecipazione è stata veramente forte. Sicuramente abbiamo superato l’obiettivo che ci eravamo dati ed è stata una bella sorpresa, perché ho visto molto interesse nei partecipanti, molta voglia di condividere la propria esperienza.

Voi eravate lì, avete visto che abbiamo avuto molti momenti per fare networking ed è una cosa sulla quale puntiamo ad ogni edizione perché di fatto oltre ai contenuti, che riteniamo la cosa più importante, l’altra è sicuramente il networking in un evento del genere. E quindi c’è stata una partecipazione sicuramente molto interessante di persone molto interessate e questo mi ha fatto molto piacere.

Mi porto a casa il fatto che comunque dobbiamo migliorare un po’ sul posizionamento rispetto a quelle che sono le persone che partecipano. Noi abbiamo avuto molti addetti ai lavori e questo mi fa molto piacere perché significa che è una conferenza molto apprezzata da chi vive il settore. Tra l’altro ad oggi oltre a essere la prima conferenza italiana sul product management è anche la più grande conferenza dedicata a chi il product management lo fa per davvero in Italia, quindi è una conferenza che raccoglie moltissimi product manager, moltissimi product owner, moltissimi UX designer e tantissime persone che ruotano intorno al mondo dello sviluppo del prodotto.

Però sicuramente noi come entità e come Product Management Day siamo molto focalizzati sulla divulgazione del tema e questa cosa deve raggiungere non solo gli addetti ai lavori. Quindi sicuramente un punto dove vorrei migliorare è quello di portare questa consapevolezza e questa conferenza anche sui tavoli di altre personalità che ruotano intorno al mondo del product come stakeholder e i vari amministratori e tutte le persone che poi, di fatto, sono decision maker e che prendono decisioni sulla base di poca consapevolezza a volte.

E quindi portare a bordo queste persone sicuramente può aiutarci a cambiare il modo in cui in Italia e in generale in Europa e nel mondo si affrontano gli sviluppi dei prodotti digitali. Io mi ricordo il talk di una delle prime edizioni che ha fatto tra l’altro Gabriele Giaccari, il mio socio, che aveva riportato questa slide di uno studio fatto nel 2020 negli Stati Uniti su quanti soldi sono stati sprecati nello sviluppo di software non utilizzati o di scarsa qualità. Mi sono fatto un calcolo, erano 3 trilioni di dollari solo in America nel 2020. Se calcolo gli anni in cui io lavoro in questo settore diventano una cosa come 54 trilioni di dollari solo negli Stati Uniti.

E questi soldi possono essere spesi in un modo molto, molto più intelligente. Ed ecco quindi che coinvolgere le persone che poi decidono come investire i loro soldi in un evento del genere diventa fondamentale, no? Perché è bello vedere gli addetti ai lavori che apprezzano e che comunque vengono e condividono le loro conoscenze però poi alla fine se abbiamo il collo di bottiglia dove chi investe lo fa sotto altri parametri e con altre modalità è ovvio che vorrei portare quelle persone a capire come funziona questo mondo.

Chiaro, chiaro, chiaro. Tra l’altro questo discorso si collega un po’ anche alla domanda che mi ero appuntato dopo questa, sul tema degli standard di qualità e l’evoluzione dello standard di qualità e quindi anche delle preoccupazioni etiche, dell’IA generativa, così come anche della responsabilità economica. Come state affrontando questo contesto?

Raffaele: Guarda, noi nella nostra vision abbiamo un messaggio, che è quello di creare impatti positivi verso gli utenti finali, ma anche verso tutto l’ecosistema, e questa cosa si porta dietro tantissime informazioni, perché creare impatti positivi significa pensare a come non creare danni.

Quando tu stai per sviluppare dei prodotti digitali, devi iniziare a pensare che stai facendo qualcosa che qualcun altro utilizzerà. Ti faccio un esempio: in questo momento siamo in questo vortice dell’intelligenza artificiale dove nasce un tool al giorno. Qualche giorno fa ho visto un video su TikTok di un influencer dell’intelligenza artificiale che faceva vedere come ha bucato TikTok estrapolando dei dati sensibili. Questa cosa ovviamente produce degli impatti che non sono affatto positivi.

Produrre impatti negativi sta dietro l’angolo, perché se non hai il tempo di capire che cosa sta succedendo e come prevenire dei danni, ecco che succede che hai regalato dei dati a chiunque utilizzi uno strumento. Ora credo l’abbiano risolto già questo problema, ma ad ogni modo già qualcuno l’ha bucato.

E un altro tema sull’etica: stiamo realizzando qualcosa che ha bisogno di risorse che siano ambientali o umane. Io volutamente le chiamo “risorse umane” in questo caso perché per addestrare tutti i modelli che ad oggi vengono utilizzati, vengono usate delle persone che inseriscono o validano dati. Ad esempio, per addestrare il modello a non avere bias razziali o di altro tipo, tantissima gente è stata impiegata a inserire queste immagini che ne so di pedofilia, di omicidi, che vanno classificate in modo che poi non possano essere trattate nelle risposte.

Per addestrare queste macchine sono state assunte persone a svolgere questo compito per 14 ore al giorno, tutti i giorni, per un anno in cui vedevano tutti i giorni foto di pedofili e foto di gente con problematiche di varia natura. In questo modo stai sfruttando un essere umano e lo stai di fatto mandando dallo psicologo. Non c’è niente di etico in tutto questo.

Per non parlare poi dell’ambiente. Ad esempio l’utilizzo del cloud dell’intelligenza artificiale produce un impatto ambientale incredibilmente dannoso. Ma le grandi compagnie non parlano di questo, parlano dei benefici che ci può dare nell’ottimizzare i nostri processi. E su questo forse dovremmo fermarci a interrogarci se andare così veloci nello sviluppo tecnologico oppure se fermarci a pensare.

E qui ti rispondo alla domanda dicendoti come affrontiamo noi la cosa, ci facciamo le domande di cui sopra. Quindi capendo se quello che stiamo realizzando è etico e se non lo è molto probabilmente rifiutiamo il progetto, cosa che ci è già successo di fatto. Per cui secondo me tutti i professionisti del settore dovrebbero fare questo e non solo. Ma dovremmo farci questa domanda: quello che stiamo facendo impatta positivamente o no? Perché sennò poi succede che avvengono le guerre in Ucraina e tutta una serie di cose che non sto qui a raccontare perché vediamo i telegiornali tutti i giorni.

Hai toccato un bel nervo scoperto. E tornando sul tema della formazione cosa mi sai raccontare più nel dettaglio?

Raffaele: Allora, in vari talk io mi sono trovato a dover rispondere a domande dove ho capito che non esiste formazione per quanto riguarda l’ambito dell’etica e su come affrontare responsabilmente alcune situazioni.

Quando tu vai nei vari corsi delle varie università è spesso una metodologia, un linguaggio di programmazione, un approccio tecnico… ma nessuno ti spiega che quando scrivi un software puoi essere un potenziale assassino. Ti faccio un esempio su tutti molto banale molto famoso quello del Boeing 737 MAX che è caduto due volte per un bug. I programmatori dell’epoca o comunque il gruppo di sviluppo non si è preoccupato di testare a fondo il software e quello che è successo è che sono morte 346 persone.

Ad oggi, quando mi confronto con i programmatori penso all’etica anche per casi molto più piccoli, ad esempio il sito web del fruttivendolo sotto casa. Se quel sito web è il suo mezzo per fare soldi, per fare business e per mandare avanti la famiglia e tu come programmatore non ti assumi la responsabilità di fare un mezzo utile per quel fruttivendolo, ti stai assumendo la responsabilità di far fallire una persona.

Chi ti insegna questa cosa? Non te lo insegna nessuno. Non c’è un corso di laurea, non c’è un master, non c’è nulla che ti parla di quanto devi essere responsabile quando stai creando un prodotto digitale. Ma questo vale un po’ per tutti gli ambiti.

La formazione non è sufficiente per quanto riguarda questi temi, dovrebbe essere portata in modo molto più importante sui banchi di scuola ma non solo.

Noi come 20tab di fatto tentiamo con la nostra vision di fare questo tipo di divulgazione. Nell’ambito del product management ci si deve chiedere se il prodotto che stiamo realizzando risolve un problema e non ne introduca altri. Adesso ti faccio un esempio su tutti, il trading, che di fatto aiuta molte agenzie a fare lavoro di automazione, però poi produce degli impatti magari su molte altre persone che vengono truffate da qualcuno che usa quel prodotto in modo malevolo. Quindi volevo rendere l’idea per cui chi sta realizzando insieme al suo team un prodotto se le deve porre queste domande.

Sicuramente studiare tutta la filosofia lean va in questa direzione perché ti porta a pensare a come evitare gli sprechi, per esempio, ma non basta. Non basta perché manca tutto un aspetto legato all’etica e alla responsabilità che di fatto non viene mai citato a sufficienza.

Ultimamente ho letto un libro molto interessante di Uncle Bob, Robert Martin, che è uno dei 17 firmatari del manifesto Agile, che si chiama “Clean Craftmanship”. È un libro molto interessante – è un po’ tecnico perché è rivolto agli sviluppatori – però si concentra molto sull’etica e sulla responsabilità. E secondo me ogni sviluppatore, per esempio, dovrebbe leggere quel libro. E dovrebbero esserci molti libri analoghi anche per tutte le altre figure professionali.

In questo credo che con Product Management Day noi ci concentriamo a divulgare un messaggio importante, che è quello del buon senso e del fare le cose con un occhio alla responsabilità, con un occhio all’evitare gli sprechi e con un occhio a portare valore agli utenti finali.

E credo che l’evento sia uno degli ambienti ad oggi per i product manager dove tutti questi temi vengono fuori dove vengono condivisi e quindi dove si può veramente portare la propria esperienza e confrontarsi con molte altre persone interessanti che proprio lavorano in quest’ambito.

Assolutamente d’accordo! Andando in conclusione: tema Product Management Day 2024. Cosa ci puoi raccontare?

Raffaele: Che si farà, intanto, sicuramente è una notizia certa. Ad oggi non abbiamo una data già definita proprio perché stiamo lavorando su questo dettaglio.

Molto probabilmente ci saranno delle novità nell’approccio logistico e in come gestiremo l’evento. Non cambierà nulla dal punto di vista del valore che noi vogliamo portare agli utenti, anzi, cercheremo di portarne ancora di più, visto che abbiamo avuto molti feedback che ci portano a migliorare quello che è il contenuto e anche il modo in cui eroghiamo il contenuto. Non posso dirti altro perché ci stiamo lavorando. Non ho ancora definito con certezza la location e la data, ma sicuramente spero di rivedervi.

Daniel: Assolutamente sì. Poi ci organizzeremo con il resto del team. Riconfermo il livello della qualità del contenuto. Già lo conoscevo un pochino dall’esterno ed è stato ancora più interessante poi riconoscerlo dal vivo. Raffaele, grazie del tuo tempo, direi che sei stato estremamente esaustivo anche di ispirazione su diversi punti. E assolutamente non vediamo l’ora di stringerci la mano dal vivo nuovamente. Grazie ancora e alla prossima!

Raffaele: Ok grazie a voi per avermi dato possibilità di esprimere temi, insomma che non è banale.

Grazia: Grazie mille, Raffaele. Intanto salutiamo anche gli utenti che vedranno l’intervista. Grazie mille a tutti.

Product Management Day e oltre: intervista a Raffaele Colace

Daniel Casarin, imprenditore ed analista indipendente, si dedica al mondo della comunicazione, del marketing, del business design e della trasformazione digitale. Con oltre 20 anni di esperienza, esplora l’impatto delle tecnologie emergenti in ambito economico e organizzativo. Attraverso Adv Media Lab e altre iniziative imprenditoriali, collega la sua expertise multidisciplinare al mondo dell’impresa.

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