Daniel Casarin: C’è tanto da fare. Abbiamo parlato in lungo e in largo di quello che era un tema politico con la P maiuscola, o meglio, di quello che dovrebbe essere un tema politico con la P maiuscola che fa programmi 25, 50, 100 anni quello c’è poco da fare, sappiamo bene. Ruolo dei Corpi Intermedi, invece, in questo scenario?

Prof. Paolo Iacci: Noi abbiamo avuto un problema di disintermediazione degli enti intermedi. Oggi sono andato a promuovere questo libro, “Smetto quando voglio”, anche alla Segreteria Nazionale di un Sindacato. Anche lì ho visto gli stessi problemi che vivono nell’impresa, cioè un problema di disaffezione delle persone all’organizzazione sindacale. Gli enti intermedi svolgono un ruolo fondamentale di tenuta del Paese, di messa in comune di interessi vari. Senza enti intermedi, come dire, non c’è la capacità di costruire una classe dirigente degna di tal nome. Ovviamente qui dobbiamo però essere poi puntuali, cioè io non volevo fare un discorso troppo e solo politico. È chiaro che alcuni temi, come quelli che stiamo dicendo, se noi li trattiamo, come dire, nella loro globalità, interessano necessariamente poi elementi politici. Ho provato anche a andare un po’ più nel puntuale di quello che possono fare le aziende.

E ad esempio sugli enti intermedi a questo sindacato, dicevo anche, “benissimo ma anche voi potete fare come organizzazione una serie di cose. Perché anche voi potete, ad esempio, investire in formazione, anche voi potete mettere, ad esempio, la formazione al centro del dibattito sindacale”. Noi abbiamo avuto in questo anno una serie di rinnovi di contratti collettivi molto importanti, dove però, ad esempio, la formazione è assolutamente estranea, come se non riguardasse un tema di sviluppo delle persone dentro le organizzazioni, mentre è un tema centrale, se non il tema più importante. Ecco che allora gli enti intermedi vivono questa crisi, ma secondo me stanno rispondendo in modo ancora episodico e non affrontando i veri problemi.

Daniel Casarin: Chiaro, chiaro. Ecco, sul tema formazione, non tornando sui temi sociali più ampi, come stavamo giustamente accennando anche prima. Per chi innanzitutto e da dove partire e cosa fare in impresa, in azienda?

Prof. Paolo Iacci: Ma allora qui noi abbiamo un problema sia di formazione tecnica che di formazione sulle cosiddette soft skills. Abbiamo delle opportunità, che sono le opportunità date dalla tecnologia, ma abbiamo anche dei vincoli, cioè che abbiamo bisogno di fare impresa-comunità, quindi di far incontrare la gente. Chi fa formazione dentro le imprese o per le imprese, si trova un po’ messo in mezzo tra questi vincoli.

Prima di tutto c’è un tema di formazione tecnica e professionale. Noi siamo ancora abituati a concepire la nostra vita divisa in tre. C’è un momento in cui si studia, un momento in cui si lavora, un momento in cui ci si riposa. Sicuramente questa tripartizione non regge più, perché noi abbiamo bisogno di una scuola iniziale molto più collegata con il sistema produttivo e la nostra vita lavorativa si allungherà molto insieme con l’allungarsi della nostra vita anagrafica. Abbiamo bisogno di una formazione che accompagni per molto tempo le persone. Se noi guardiamo dopo i 40 anni, dopo i 45 anni, scopriamo che nell’erogazione di formazione c’è proprio uno scalino in basso, cioè le donne dopo i 40 anni e gli uomini dopo i 45 anni tendono a non andare più in formazione e le imprese tendono a non chiamarle più a fare formazione. Questo è un errore gravissimo. Noi dobbiamo cominciare a guardare anche a una formazione specifica per i senior, anche perché quando tu non chiami più una persona a 45 anni, a 55 anni quella persona è fuori dal mercato del lavoro, sia dal mercato del lavoro esterno che dal tuo mercato del lavoro interno all’azienda. Quindi la formazione la dobbiamo concepire come continua.

Poi dobbiamo concepire una formazione che sia una formazione tecnica e anche una formazione sulle soft skill, non pensando che questi due aspetti siano degli aspetti facilmente scindibili l’uno con l’altro.

Terzo elemento: dobbiamo utilizzare sempre di più le nuove tecnologie, ovviamente, senza pensare però che queste siano in toto sovrapponibili alla formazione classica. Questo perché io continuo a pensare che il ritrovarsi, l’essere vicini, il riconoscersi anche personalmente sia importante. Cioè l’azienda, prima di tutto, comunque, è una comunità di persone che si ritrova nello stesso momento per fare delle cose insieme. È vero che nell’azienda ormai è saltata l’unitarietà di tempo e spazio, ma se questo diventa un elemento assoluto, in qualche modo è difficile tenere insieme l’azienda stessa.

Daniel Casarin: Chiarissimo, chiarissimo. E concretamente da dove potrebbe cominciare la PMI, da questo punto di vista, sul tema formazione tecnica, soft skills, a tuo parere?

Prof. Paolo Iacci: La PMI da sola, secondo me, può fare poco. Cioè o abbiamo una PMI qui estremamente piccola, ma allora siamo in una situazione come le botteghe rinascimentali, dove c’è l’imprenditore, l’artigiano, eccetera, che tira su il ragazzo “a bottega” e allora va benissimo. Stamattina avevo qui un idraulico che aveva un ragazzo con sé e questo ragazzo stava imparando. E come dire, lì andava benissimo, era una PMI dove stava facendo formazione. No? Benissimo. Ma altrimenti la PMI, se diventa una PMI già un pochettino più grandina, allora ha proprio difficoltà perché non ha l’investimento, non ha il polmone economico per consentirsi gli investimenti che la formazione necessita. Lì siamo proprio nell’utilizzo degli enti intermedi, cioè lì abbiamo le associazioni di categoria piuttosto che non altre forme intermedie che in qualche modo possono far fronte comune associando delle imprese e offrendo dei servizi comuni. Secondo me noi già abbiamo molte esperienze in questo senso ma che vanno ulteriormente supportate, sono esperienze molto interessanti che vanno tesaurizzate.

Daniel Casarin: Sì concordo, infatti, anche noi come ente di formazione certificato facciamo tanta formazione. Sicuro la difficoltà che vedo molto spesso è nel mettere in piedi, insieme a Confindustria e alle varie associazioni e categorie, la formazione tra imprese, quindi cercando di collegare più imprese, c’è da dire che assolutamente si fa molto spesso fatica. Quindi i singoli se vogliono e possono accedere, riescono a farlo magari spingendo, essendo magari coraggiosi anche in certi temi. Tra più imprese è ancora veramente difficoltoso. Poi insomma, concordo che di esperimenti molto interessanti ce ne sono in lungo e in largo.

Paolo andavo giusto proprio sull’ultima domanda prima di lasciarci, e ringraziarti ancora per il tuo tempo. Ruolo delle risorse umane. Mi è capitato in lungo e in largo, anche negli ultimi tre, quattro anni, di parlare con imprenditori che fanno lo stesso lavoro, che si sono trovati in quelle aziende che vanno dai 20 ai 50 dipendenti a dover portarsi in casa un ruolo di qualche tipo a supporto dell’area risorse umane, cosa che, per lo meno nel nostro settore era impensabile fino a quando arrivava una dimensione di un centinaio di persone. È un po’ tutto il tema che sappiamo, quindi portare l’ambito risorse umane proprio a un tema di leadership, diciamo. Quindi per forza bisogna riportare un tema strategico. Cosa consiglieresti a un giovane ruolo che si sta lanciando nel settore delle risorse umane? Da dove partire?

Prof. Paolo Iacci: Guarda, c’è proprio un problema di punto di vista. Cioè le aziende, fino a un po’ di tempo fa, vedevano sempre le persone come lavoratori. Oggi gli individui, i lavoratori, chiedono di essere visti come persone. Questa qui è proprio una rivoluzione copernicana, cioè noi possiamo continuare a guardare, dobbiamo continuare a guardare anche ai nostri collaboratori come lavoratori, che vuol dire dare loro una retribuzione corretta, essere in regola con le normative e così via. E quindi, come dire, coprire la parte amministrativa, la parte di lavoratori, tra virgolette, in toto.

Poi però i lavoratori vogliono essere guardati anche come persone, il che vuol dire investire su di loro. Investire, molte volte, non vuol dire fare delle cose incredibili, stranissime, tecniche, sofisticatissime, eccetera. Vuol dire guardarle, vuol dire parlarci, capire quali sono i loro problemi. È chiaro che non è sempre facile, perché noi abbiamo da una parte il fatto che il business va avanti, la competizione è sempre più agguerrita, i clienti vogliono sempre di più, cioè siamo in una situazione che spinge in qualche modo l’impresa a un surplus di lavoro. Però è ineliminabile investire sulle risorse umane, non fosse altro che, se questo manca, ti mancano le persone e poi senza persone non si riesce a fare il business.

Per cui in qualche modo è proprio cambiato il modo di fare imprese. Tu le imprese le fai con le persone e le persone le fai se le tratti come tali e non soltanto come lavoratori. È chiaro che l’impresa più piccola farà come l’idraulico che stamattina era molto attento a quel ragazzo come si comportava con me, e però va bene, io l’ho molto apprezzato. E dall’altro lato la grande azienda cercherà di fare le cose con una tecnologia molto più sofisticata, utilizzando anche l’intelligenza artificiale nella gestione dei dati sui propri collaboratori per proporre loro qualche cosa di sempre più sofisticato. In mezzo c’è la dimensione più tipicamente italiana che deve trovare in forme consortili la possibilità di utilizzare degli ambiti altrimenti per sé impossibili.

Smetto quando voglio: intervista a Paolo Iacci

Daniel Casarin: Sicuramente torna infatti un altro tema che, hai accennato adesso all’ambito consortile, mi è venuto in mente in un altro passaggio del libro sul tema della partecipazione delle persone, cui hai fatto un accenno, un tema a cui credo fortemente. Il fatto che se in un’azienda le persone effettivamente non partecipano, in un modo o nell’altro, non sono portate a partecipare al tema dell’interazione nelle squadre e quant’altro. Non avviene quel salto anche antropologico dell’impresa necessaria. Insomma, chiarissimo. Torno un attimo sulla domanda: cosa consiglieresti a chi vuole andare proprio in ambito risorse umane oggi? Cosa dovrebbe approfondire a tuo parere come temi? Rispetto a quello che è proprio un passaggio, perché comunque in testa c’è ancora un gap tra la parte teorica e la parte pratica dell’ambito risorse umane negli ultimi tre, quattro anni. Cosa consiglieresti da questo punto di vista a chi si vuole occupare di risorse umane oggi?

Prof. Paolo Iacci: Io insegno gestione delle risorse umane all’Università Statale a Milano e quindi ho dei ragazzi che mi chiedono ogni anno che cosa posso fare per andarsi ad occupare di risorse umane. Io dico che banalmente hanno alcune strade davanti a loro, in qualche modo tutte percorribili. La prima è fare un master, un master specialistico, perché non possiamo pensare che gestire le persone sia soltanto un fatto di buon senso. Il buon senso ci vuole, ma non è sufficiente. Per cui ci vuole una formazione in qualche modo specialistica. La seconda cosa è cominciare a capire di che cosa si tratta, perché dire semplicemente che io sto bene con le persone, mi piace comunicare con le persone, è un po’ poco per poter dire che davvero mi voglio occupare di questo settore. Per cui cominciare a occuparsi facendo un po’ di stage, facendo un po’ di tirocini, cominciando a mettere le mani un po’ in pasta. Sicuramente noi abbiamo immesso nel mercato del lavoro molti ragazzi in questi ultimi 10 anni che si stanno occupando di risorse umane, anche perché c’è stata un’esplosione delle aziende di somministrazione. Quindi, nell’intermediazione nel mercato del lavoro, ci sono state grandissime immissioni di ragazzi giovani.

Certo, qui bisogna passare da una fase che è una fase soltanto legata al recruiting, a una fase più di gestione e di sviluppo delle risorse. Per fare questo io consiglio di fare della formazione specialistica perché altrimenti diventa difficile. E diventa ancora più difficile nell’azienda piccola perché paradossalmente le aziende piccole non hanno problemi piccoli. Le aziende piccole hanno lo stesso problema delle aziende grandi, hanno soltanto budget più piccoli. Allora il problema è come fare a fare le cose con budget più piccoli, bisogna essere più bravi, non meno bravi. E allora, a maggior ragione, bisogna avere una formazione specialistica, anche perché si può andare meno facilmente dai consulenti, dai legali, eccetera eccetera, quindi bisogna saperne un po’ di più da soli.

Daniel Casarin: Ottimo. Paolo, grazie ancora del tuo tempo. Innanzitutto, complimenti ancora per l’edizione, perché comunque la consiglio a chiunque faccia ovviamente il lavoro dell’imprenditore o a qualsiasi manager, ma anche a chiunque si trova ad aver a che fare con persone, sia nella gestione ma anche nella parte strategica soprattutto, anche come visione a lungo termine. Insomma, lo vedo come un’edizione strategica proprio per questo, a partire dagli spunti che ci sono. È molto interessante. Poi c’è tutta la parte di dati iniziali che è stata veramente molto interessante e ho ritrovato qualche numero a cui facevi riferimento anche poco fa. Paolo, grazie ancora per il tuo tempo.

Prof. Paolo Iacci: Grazie a voi per l’invito.

Daniel Casarin: E grazie a tutti.

Grazia Sigismondo: Grazie mille a tutti. Buona giornata.

Smetto quando voglio: intervista a Paolo Iacci

Daniel Casarin, imprenditore ed analista indipendente, si dedica al mondo della comunicazione, del marketing, del business design e della trasformazione digitale. Con oltre 20 anni di esperienza, esplora l’impatto delle tecnologie emergenti in ambito economico e organizzativo. Attraverso Adv Media Lab e altre iniziative imprenditoriali, collega la sua expertise multidisciplinare al mondo dell’impresa.

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