Roberto Siconolfi – classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo.
Giordano Mancini, classe 1961, ha passato gran parte della sua vita lavorativa nel mondo delle imprese, come consulente, formatore, organizzatore e coach.
Appassionato di innovazione green, da molto tempo prima che la sostenibilità diventasse un orientamento generale nel mondo delle imprese, lavora in particolare alla diffusione di tecnologie frugali e bioispirate. Aiuta gli imprenditori a fare in modo che l’approccio ESG sia un’occasione per aumentare i profitti aziendali, piuttosto che viverlo come un obbligo esterno, che genera più che altro dei nuovi costi.
Giordano Mancini, una vita nell’impresa e nell’innovazione, tra i tuoi progetti in questo senso anche un libro, un saggio storico insieme a Marino Ruzzenenti “Ecologia e Autarchia. Cento anni di genio italiano per la transizione ecologica” (Libreria Editrice Fiorentina, 2023), Giordano com’è nata l’idea di questo saggio?
L’idea del libro è partita da Marino, che aveva già scritto in precedenza “L’autarchia Verde”, un testo sulle tecnologie del ventennio che mi aveva sorpreso e mi era piaciuto molto.
Ci siamo conosciuti alla fine del 2014, in occasione di un evento a Brescia per il lancio della start up Nova Somor, nata proprio grazie al suo libro. Raccontai a Marino che molte delle iniziative e soluzioni sviluppate negli anni ‘30 durante il periodo autarchico, sono attualissime e si fanno, o si inizia a farle, con nomi diversi.
Da qui l’idea del libro che rendesse evidenti questi parallelismi e sollevasse la discussione sul fatto che, a volte, le idee con più capacità di futuro si trovano nel passato, non sempre ciò che viene inventato per ultimo è la cosa migliore. Poi tra il dire il fare, e gli impegni di entrambi, sono passati quasi 10 anni tra l’idea e la pubblicazione, ma alla fine va bene così perché questo è il momento giusto, in cui c’è più bisogno di parlare di certi argomenti.
La parte del saggio da te curata descrive alcune delle tecniche di riciclo adottate nel ventennio, sembra che l’Italia dell’epoca avesse una grande capacità di riciclo, e riutilizzo, dei rifiuti, in un processo a basso impatto di energia. Ci puoi descrivere alcune di queste tecniche?
Nella mia parte di libro faccio riferimento all’incredibile massa di dati e informazioni raccolte da Marino sul periodo autarchico. Ad esempio, a Milano nel 1939 si riciclava il 100% dei rifiuti urbani, c’è un interessante video dell’Istituto Luce dove si vede come i rifiuti, che arrivavano mischiati nell’azienda addetta al riciclo, venivano separati meccanicamente e poi manualmente.
Tutta la carta e i metalli erano recuperati, con le calze di nylon delle donne si producevano tappeti per l’esportazione, dalle ossa si otteneva il grasso, poi mangime per animali, colla e via così.
Allora il motto era: “non si butta neanche il rifiuto del rifiuto”, oggi lo chiamiamo riciclo dei rifiuti, estrazione di materia seconda, o anche “urban mining”, specie per quanto riguarda i metalli, ma è praticamente la stessa cosa: riciclare era una buona idea e continua ad esserlo. Forse all’epoca, anche grazie all’assenza di plastica e poliaccoppiati, erano persino più efficienti!
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Secondo Ruzzenenti l’autarchia, scelta obbligata a seguito delle sanzioni per la guerra d’Etiopia “pose gli italiani di fronte al grande problema dei limiti naturali dello sviluppo economico” (p. 30), si dovette insomma fare di necessità virtù. Uno scenario simile a quello post Covid e dell’attuale guerra, che sembra ingigantirsi sempre di più andando verso il Medio Oriente. Sarebbe possibile trarre spunti e insegnamenti da questo grande patrimonio accumulato dalla nostra nazione?
Assolutamente si, il problema dei limiti dello sviluppo economico è molto attuale e dopo la guerra, i morti, le sofferenze e l’umiliazione per la sconfitta, fu “gettato via il bambino con l’acqua sporca”.
Oggi l’autarchia ci viene presentata come una cosa ridicola e fallimentare e indissolubilmente legata al fascismo, ma studiandola si scoprono molte cose interessanti.
Intanto che, dopo la tremenda crisi del 1929, tutte le nazioni del mondo applicarono per quanto possibile l’autarchia. Gli USA in particolare, ma anche la Germania, l’impero britannico, la Francia e molti altri cercarono di ridurre la propria dipendenza dagli scambi internazionali, anche per evitare “di inviare l’oro della patria all’estero”.
Poi si scopre anche che non fu affatto fallimentare, anzi! Non c’erano solo le scarpe di cartone dei soldati in Russia o i vari succedanei, come il caffè di cicoria.
L’Italia fu un interessante laboratorio green perché le “inique sanzioni” riguardarono specialmente petrolio e carbone, dei quali eravamo quasi privi. Quindi, ad esempio, nel 1939 avevamo la più estesa rete ferroviaria elettrificata del mondo, perché l’energia elettrica veniva prodotta quasi esclusivamente con l’idroelettrico. Si costruirono dighe e centrali ovunque, ancora molte di queste sono in funzione con i macchinari dell’epoca. I nostri elettrotreni, le “Littorine”, già moderni e aerodinamici, andavano oltre i 200 km orari, mentre le più moderne locomotive tedesche, a carbone, viaggiavano a meno di 190 km orari e con tutt’altro comfort. Gli esempi sono innumerevoli, il nostro passato è una miniera di idee e soluzioni che andrebbero studiate riprese e attualizzate.
Il ventennio, dunque, diede vita a queste specifiche ed intelligenti politiche autarchiche ed ecologiche e diede vita anche alla Elio Dinamic, una delle imprese, celebrata come espressione di un certo genio italico, e che successivamente divenne Somor. Vuoi chiarirci la genesi di questa impresa e il funzionamento della loro invenzione: la pompa idraulica ad energia solare?
Dalla lettura di L’autarchia Verde, di cui ho accennato prima, la cosa che mi colpì di più fu scoprire che l’Italia fu leader, fin dall’inizio del secolo, nello sviluppo di tecnologie e tecniche per lo sfruttamento dell’energia solare, grazie alla termodinamica.
Un affascinante percorso che parte dalle dichiarazioni visionarie di Giacomo Ciamician nel 1911, ai calcoli del professor Mario Dornig degli anni ‘20, dalle prime invenzioni di Luigi D’Amelio al brevetto di Daniele Gasperini, inventore della Elio Dinamic, negli anni ‘30.
La macchina fu il primo motore termodinamico ad energia solare della storia, applicato al pompaggio dell’acqua. Daniele Gasperini era un frigorista di Rovereto, che negli anni ‘30 era al lavoro in Libia, allora colonia italiana, per la costruzione di impianti per la produzione del ghiaccio. Daniele nel 1934 ebbe l’idea di invertire il ciclo e, invece di usare un motore per comprimere un gas basso bollente, in modo da produrre il freddo, pensò di usare il caldo del sole della Libia e il fresco dell’acqua dei pozzi per creare un motore.
Nel 1935 depositò il brevetto e nel 1936 presentò con successo la sua Elio Dinamic alla decima fiera dell’impero fascista a Tripoli. Dopo la guerra Gasperini, assieme a Ferruccio Grassi, nel 1949 fondò a Lecco la SOMOR (SOcietà MOtori Recupero del calore solare e del calor perduto), che operò fino alla morte di Gasperini nel 1960. Poi tutto fu dimenticato e, a detta del figlio di Gasperini, Gildo, l’azienda fu boicottata, sia perché la tecnologia ricordava il periodo fascista, sia perché si era in pieno sviluppo del consumismo e le tecnologie che non usavano petrolio o energia elettrica erano viste come vecchie e superate, anche se funzionavano benissimo.
Ad esempio, sull’isola di Ischia c’era un impianto termodinamico da 250 kW fatto costruire da Luigi D’Amelio, completato nel 1943, che utilizzava il calore (gratuito ed ecologico) delle locali acque termali. Finita la guerra fu smantellato e sostituito con un generatore diesel!
Il progetto della Somor, viene ripreso dalla Nova Somor, a distanza di un centinaio d’anni circa, da quando tutte queste tecniche, distinguiamo dalle tecnologie, vengono ad incubazione. Vuoi chiarici la genesi invece di Nova Somor, di cui tu sei tra i fondatori, e il funzionamento della eliopompa con il relativo motore ad energia termodinamica ad energia solare o a cascami di calore? Quali i suoi suoi possibili usi?
Nel centinaio di anni di storia in realtà abbiamo compreso i calcoli di Dornig degli anni ‘20, senza i quali Daniele Gasperini probabilmente non avrebbe potuto sviluppare la sua Elio Dinamic.
Comunque, dopo la lettura di L’autarchia verde nel 2013 e gli approfondimenti sulla storia di Gasperini e della Somor, realizzati grazie ai documenti raccolti dal GSES (Gruppo Storia dell’Energia Solare), diretto allora dall’ing, Cesare Silvi, iniziai a pensare che quella tecnologia dimenticata poteva avere capacità di futuro. Coinvolsi nel progetto Roberto Belardinelli, un esperto inventore di Rimini, appassionato come me alle tecnologie della fotonica, e nel luglio 2014, con il supporto di un gruppetto di soci finanziatori, fondammo Nova Somor.
Roberto fu bravissimo a recuperare e ad attualizzare con soluzioni e materiali dei giorni nostri, la vecchia tecnologia, costituita da un tradizionale motore “biella manovella” in ghisa, azionato con un gas molto tossico, riscaldato in grandi e pesanti captatori solari.
Abbiamo costruito e brevettato i nostri motori termodinamici in acciaio e alluminio, con gas innocuo ed ecologico e usando come captatori dei normali pannelli solari termici. Il funzionamento è il seguente: il gas basso bollente presente nel motore, lo stesso che troviamo nei nostri frigoriferi, arriva in fase liquida in uno scambiatore, dove incontra l’acqua calda proveniente dai pannelli solari. Bolle ed evapora a partire dai 35° e si espande di circa 10 volte, spingendo con forza il pistone nel cilindro del motore. Appena compiuto il suo lavoro, il gas lascia il cilindro del motore e va in un secondo scambiatore dove incontra l’acqua fresca che sale dal pozzo e torna in fase liquida, pronto a ricominciare il ciclo.
Ovviamente il pistone del motore trascina altri pistoni, in particolare quelli che pompano l’acqua calda dai pannelli e quella fresca dal pozzo, che poi è lo scopo della macchina, il “cliente” del motore. La stessa cosa si può fare con i cascami di calore di motori termici, processi industriali, ecc. e le applicazioni possibili sono moltissime e in vari settori, in particolare nella nautica.

Avete ricevuto, con il progetto Nova Somor, anche il premio Klimahouse Start Up Award. Cosa è stato degno di nota in particolare? Avete avuto successivamente dei problemi che non vi hanno consentito più di proseguire?
Quella fu una competizione difficile, con altre varie decine di start up e con una giuria molto seria presieduta dal metereologo Luca Mercalli, molto rigoroso.
Alcune delle applicazioni del nostro motore termodinamico si possono sviluppare per climatizzare le abitazioni o per pompare acqua per diversi scopi. In Alto Adige la nostra eliopompa sarebbe volentieri utilizzata, ce la chiesero in molti, per pompare acqua dai torrenti di montagna in alto, dove sono i terrazzamenti per coltivare la vite, gli ortaggi e altro.
Purtroppo, a distanza di anni, non siamo riusciti ad andare sul mercato con un prodotto industrializzato. Alcuni clienti hanno voluto acquistare i prototipi o le macchine di preserie per sperimentarle sul campo, sia in Italia che in Africa, ma abbiamo esaurito i fondi prima di arrivare alla produzione di serie, cosa che avviene a numerose start up.
Adesso l’azienda è ferma, con i suoi brevetti ancora mantenuti attivi da Alessandro Di Maiuta, il socio finanziatore che ci ha consentito di arrivare alle macchine di pre serie e che attualmente detiene la maggioranza della proprietà di Nova Somor. Siamo alla costante ricerca di un socio industriale che possa mettere a valore i nostri anni di duro impegno e sacrificio, sia in termini di lavoro che di denaro.