Andrea Signorelli – Milanese, classe 1982, giornalista freelance. Scrive di innovazione digitale e del suo impatto sulla società per La Stampa, Wired Italia, Domani, Il Tascabile, Esquire Italia, cheFare e altri.
Più la tecnologia avanza e più si fonde con il corpo umano – e più il mondo digitale si fonde con quello fisico – meno ha senso utilizzare una dicotomia comunque problematica: online vs offline, a volte declinata come mondo reale in opposizione al mondo digitale.
Una distinzione che probabilmente è sempre stata priva di senso: perché le nostre interazioni su Whatsapp o Instagram dovrebbero essere meno reali (nella loro ovvia diversità) di quelle che abbiamo nel mondo fisico? Perché un’esperienza vissuta online dovrebbe essere meno importante di una vissuta offline?
Finché il mondo digitale era confinato in computer fissi che compartimentalizzavano la nostra esperienza online, questa dicotomia poteva ancora avere una ragion d’essere. Ma con l’avvento degli smartphone, e ancor più col prossimo arrivo dei visori in realtà aumentata (di cui abbiamo lungamente parlato qui ), tutto ciò sta diventando privo di significato.
Dove prima c’era uno sfumato online vs offline, adesso si aprono le porte a un’esperienza unica e omogenea , per descrivere la quale il filosofo Luciano Floridi ha coniato il fortunato termine onlife. “La pervasività sempre crescente delle tecnologie di informazione e comunicazione (ICT) scuote le strutture di riferimento consolidate attraverso le seguenti trasformazioni: lo sfocamento della distinzione tra reale e virtuale; della distinzione tra umano, macchina e natura; l’inversione dalla scarsità dell’informazione all’abbondanza dell’informazione e il passaggio dal primato delle entità al primato delle interazioni”, scrive Floridi nel suo manifesto.
La nostra vita è sempre meno divisibile in esperienze online ed esperienze offline e non c’è una supremazia, o maggiore autenticità, delle une rispetto alle altre. Tutto è fuso : un’esperienza virtuale può proseguire nel mondo fisico, una nostra azione nel mondo virtuale può avere concrete ripercussioni in quello offline.
E, soprattutto, non c’è motivo di ritenere che ciò che avviene online sia meno “vero” di ciò che avviene offline. Non siamo esseri umani che si immergono temporaneamente nel mondo digitale per poi riemergere, scrollarci tutto di dosso, e riprendere la nostra vita regolare: le due esperienze sono ormai costantemente e profondamente intrecciate.
Nel dettaglio parleremo di:
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La deviazione del metaverso
Se la fusione tra mondo fisico e mondo digitale è una traiettoria che da circa quindici anni – all’incirca dalla presentazione del primo iPhone, nel 2007 – ha subito una drammatica accelerazione ed è poi proseguita senza tentennamenti (gli smartphone sono diventati ubiqui e l’utilizzo delle app è diventato talmente intrecciato con la nostra esperienza del mondo fisico da rendere quasi impensabile fare esperienza dell’uno senza le altre), nel corso degli ultimi due anni – non casualmente quelli segnati dalla pandemia di Covid-19 – questo percorso sta vivendo la sua prima deviazione.
O meglio: alcuni dei colossi della Silicon Valley (e di Shenzhen) stanno cercando di imporre una modifica a un percorso che fino a oggi era proceduto in maniera coerente e lineare. Questa deviazione – per certi versi addirittura un deragliamento – è il metaverso.
Dal computer fisso al computer portatile, arrivando agli smartphone e alla prevista diffusione dei visori in realtà aumentata, tutta la recente evoluzione digitale, come detto, ci ha proiettato in un mondo in cui il digitale e il fisico si intrecciano sempre di più e in cui la tecnologia diventa sempre più parte del corpo umano. E il metaverso, invece (i cui limiti abbiamo esplorato qui )?
Se davvero, come sembra desiderare Mark Zuckerberg e non solo, i mondi immersivi – spesso ma non necessariamente in realtà virtuale – non saranno impiegati come una semplice fuga dalla realtà (un’evoluzione dei videogiochi, in poche parole), ma diventeranno un ambiente in cui calarci per svolgere attività quotidiane (shopping, lavoro, socialità, sport, intrattenimento), ecco che il percorso fin qui seguito subirà un cambiamento radicale.
Il metaverso, infatti, non contribuisce a unire mondo digitale e mondo fisico. Al contrario, sostituisce quest’ultimo con il primo : crea infatti un vero e proprio surrogato digitale del nostro ambiente naturale in cui noi dovremmo, almeno parzialmente, trasferirci. Anche l’hardware deputato a essere il protagonista assoluto del metaverso – i visori in realtà virtuale – rappresenta uno scarto rispetto al percorso seguito finora: non più uno schermo che gradualmente si integra nel mondo fisico, ma uno che invece ci esclude da esso e rende – questa volta per davvero – l’esperienza online alternativa, opposta, a quella offline.
E se invece, come abbiamo sostenuto, fosse una tecnologia come la realtà aumentata – che sovrapponendo elementi digitali al mondo fisico consente un’integrazione senza soluzione di continuità dei due ambienti – ad avere la meglio come strumento digitale della nostra quotidianità (relegando il metaverso a limitati momenti di evasione), che forma prenderà la nostra vita in un futuro a medio termine?
Come vivremo tra quindici o vent’anni, quando questa tecnologia si sarà forse diffusa in maniera tanto ubiqua quanto lo sono oggi gli smartphone, e in cui potremo sfruttare un ecosistema tanto completo quanto lo è oggi quello delle app?
Bisogna immaginare un futuro in cui ogni posto e ogni cosa che si trova nel mondo reale – ogni strada, lampione, negozio e stanza – avrà il suo gemello, a grandezza naturale, nel mondo digitale. Ecco cos’è il mirrorworld secondo Kevin Kelly.
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Mirrorworld: il mondo digitale che riflette quello fisico
Per immaginare e comprendere meglio come cambierà la nostra vita in un futuro più o meno prossimo, la cosa migliore è farci guidare da Kevin Kelly , futurologo, saggista e fondatore di Wired, che nella sua visionarietà (che talvolta sconfina nella fantascienza e che eccede spesso in ottimismo, come d’obbligo per un aderente all’ideologia californiana ) è riuscito meglio di chiunque altro a immaginare come sarà il mondo quando e se le potenzialità della realtà aumentata – ciò che oggi è solo accennato da dispositivi come Spectacles di Snapchat o, a livelli più professionali, Hololens di Microsoft – si saranno completamente dispiegate , dando vita a ciò che nel suo ultimo saggio, pubblicato proprio su Wired , ha chiamato Mirrorworld.
Che cosa intende Kevin Kelly con il termine “mirrorworld” (mondo allo specchio, o riflesso) ? Per capirlo, bisogna immaginare un futuro in cui ogni posto e ogni cosa che si trova attualmente nel mondo reale – ogni strada, lampione, edificio, negozio e stanza – avrà il suo gemello, a grandezza naturale, nel mondo digitale.
Al momento, solo alcuni piccoli frammenti del mirrorworld sono visibili attraverso i visori AR (augmented reality). Pezzo dopo pezzo, sempre secondo Kelly, questi frammenti virtuali verranno però cuciti assieme per dare forma a un luogo continuo, condiviso, che sarà parallelo al mondo reale.
Lo scrittore Jorge Luis Borges immaginò una mappa esattamente delle stesse dimensioni del territorio che rappresentava. “Nel tempo”, scrisse Borges, “la Gilda dei Cartografi mise a punto una Mappa dell’Impero le cui dimensioni erano quelle dell’Impero, e che coincideva esattamente con esso”. Oggi stiamo costruendo questa mappa 1:1 dalla portata quasi inimmaginabile e questo mondo potrebbe diventare la prossima grande piattaforma digitale.
Attenzione, non si tratta di un mondo digitale identico ma alternativo a quello fisico (che ci riporterebbe al concetto di metaverso), ma di una replica da sovrapporre al nostro mondo, al fine di digitalizzare completamente tutto ciò che ci circonda. Ogni luogo in cui entreremo e ogni strada che inforcheremo sarà insomma già stata mappata digitalmente e sarà quindi riproducibile, senza nemmeno rendercene conto, dai nostri visori.
Tutto ciò, segnala quindi Kevin Kelly, è già in costruzione nei laboratori di ricerca dei colossi digitali di tutto il mondo; mentre scienziati e ingegneri competono per costruire i luoghi virtuali che si sovrapporranno a quelli reali. Non si tratta di una semplice versione potenziata di Google Maps – che può rappresentare al massimo la facciata digitale del mondo in cui viviamo – ma di qualcosa di completamente diverso: una riproduzione integrale, completa, abitabile della realtà ; immersa e fusa in essa. “Il mirrorworld”, prosegue Kelly, “rifletterà non soltanto l’aspetto di qualcosa, ma il suo contesto, significato e funzione. Interagiremo con esso, lo manipoleremo e ne faremo esperienza come la facciamo del mondo reale”.
Un primo assaggio di tutto ciò – l’equivalente di ciò che poteva essere internet ai tempi del 56k paragonato a quello odierno – si è avuto con i Pokémon Go, il gioco in realtà aumentata che permetteva di sovrapporre i personaggi digitali del cartoon nell’ambiente fisico e inquadrarli tramite smartphone.
Già oggi esistono però altre applicazioni per smartphone trasportabili senza difficoltà sui visori, attraverso le quali è possibile, per esempio, inquadrare tutti i monumenti che si incontrano durante una visita per scoprire il loro nome, storia e caratteristiche, vedere le opinioni degli utenti e molto altro ancora.
In futuro, le persone che abbiamo conosciuto (o di cui siamo amiche su Facebook) potrebbero invece portare agganciate a esse un’etichetta digitale riportante il loro nome, permettendoci di riconoscerle al volo se le incrociamo. Potremo inoltre lasciare un appunto digitale sulla vetrina reale di un negozio, per ricordarci o segnalare a un amico – la prossima volta che passeremo o passerà di qui – un capo d’abbigliamento che volevamo acquistare.
“Collegheremo con gli hyperlink gli oggetti di un network fisico, così come il web ha collegato le parole”, prosegue Kelly. “La prima grande piattaforma tecnologica è stata il web , che ha digitalizzato l’informazione sottomettendo la conoscenza al potere degli algoritmi ed è dominata da Google. La seconda grande piattaforma sono i social media, che vivono principalmente sugli smartphone : hanno digitalizzato le persone, subordinato il comportamento e le relazioni al potere degli algoritmi e sono dominate da Facebook e WeChat. Oggi siamo all’alba della terza piattaforma, che digitalizzerà il resto del mondo. Su questa piattaforma, tutti gli oggetti e i luoghi saranno leggibili dalle macchine e soggetti al potere degli algoritmi.
Chiunque dominerà questa grandiosa terza piattaforma diventerà tra le più ricche e potenti persone (o aziende) della storia, proprio com’è avvenuto a coloro che hanno dominato le prime due piattaforme”.
Come l’essere umano si trasforma in macchina
Daniel Casarin e Andrea Signorelli Presentazione del libro e live Q&A
Internet penetra il mondo
Il processo che porterà al mirrorworld, e di cui oggi assistiamo ai primi goffi passi, ha quindi l’obiettivo conclusivo di “spostare internet dagli schermi al mondo reale” , come ha efficacemente spiegato Ori Inbar, uno dei principali investitori nel settore della realtà aumentata.
Mentre il designer Keiichi Matsuda si è spinto ancora più in là: “Il mirrorworld ti immerge nel digitale senza rimuoverti dallo spazio in cui vivi. Sei ancora presente, ma su un differente piano della realtà”. Per far sì che tutto ciò diventi realtà, servono però innovazioni tecnologiche che oggi stanno ancora nascendo: una rete in grado di gestire una marea di dati incredibilmente superiore a quella, già impressionante, che circola oggi (e per la quale potrebbe non bastare nemmeno il 5G); visori indossabili economici e leggeri , che diventino sempre più simili a dei normali occhiali (si pensa che Apple potrebbe essere il primo colosso a presentare qualcosa di simile); ma soprattutto – visto che si sta parlando di creare una copia digitale, in 3D e interattiva, del mondo intero – servono videocamere miniaturizzate sparse letteralmente ovunque.
“Per ricreare una mappa che sia grande come il globo – in 3D, niente meno – c’è bisogno di fotografare tutti i luoghi e tutte le cose da ogni angolazione possibile, costantemente; il che significa che dovremo avere un pianeta pieno di telecamere sempre accese”, prosegue Kelly. “Stiamo costruendo questo network distribuito di videocamere onnivedenti riducendole a occhi elettrici millimetrici che possono essere piazzati ovunque. Come già avvenuto con i chip dei computer, le videocamere stanno diventando migliori, più piccole e più economiche ogni anno che passa. Ce ne potrebbero già essere due nei vostri smartphone e un altro paio nella vostra macchina. Ce n’è una sul mio citofono. La maggior parte di questi nuovi occhi artificiali sarà proprio davanti ai vostri occhi, sugli occhiali o sulle lenti a contatto, in modo che ovunque si posi l’occhio umano, quella immagine sarà registrata”.
Kevin Kelly, nel suo ottimismo esasperato e per certi versi anacronistico (che lo rende un perfetto alter-ego di critici del mondo digitale come Evgenij Morozov), si sofferma solo brevemente su un aspetto ovvio: un mondo interamente ricoperto di videocamere connesse alla rete e che tutto registrano è un incubo della privacy e il sogno di ogni governo totalitario. Il fondatore di Wired non ha però mai posto particolare attenzione a questo tema così importante e anche qui preferisce concentrarsi solo sulle potenzialità positive aggirando invece i pericoli.
C’è tempo per prepararsi, visto che ci vorranno ancora decenni prima che tutto ciò prenda forma, come lo stesso Kevin Kelly si premura di segnalare. Quando però questa grande terza piattaforma sarà completata, la fusione tra mondo digitale e mondo fisico sarà completata: “Questa nuova piattaforma li fonderà definitivamente, facendo sì che i bit digitali siano incorporati in quelli materiali fatti di atomi. Interagiremo nel virtuale attraverso l’interazione con il fisico”. La fusione tra mondo digitale e mondo naturale sarà per allora del tutto completa, al punto che non avrà più alcun senso mantenere in vita questa distinzione nemmeno dal punto di vista semantico: sarà, semplicemente, un tutt’uno.