Roberto Siconolfi – classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo.
Uno dei fenomeni più interessanti che lega l’epoca postmoderna allo sviluppo dei social network, è quello delle community.
Con le community, si fonde alla tecnologia-mediatica, e dunque ad uno degli ingredienti principali di quello che abbiamo definito in altri articoli come un “ritorno del magico”, quell’esigenza di aggregazione, di recupero della comunità nella nostra epoca e che ha portato sociologi come Michel Maffesoli a parlare di un rinato tribalismo, anche se di stampo metropolitano e postmoderno.
Ma quali sono i miti, i modelli e in punti salienti di tale fusione?
Ne parliamo in quest’articolo.
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La tribù metropolitana: la Gemeinschaft all’epoca postmoderna
Secondo Ferdinand Tönnies sociologo e fondatore della Società tedesca di sociologia, in base al tipo di relazione presente in una società umana, è importante distinguere tra Gemeinschaft e Geselleschaft .
La Gemeinschaft (Comunità), tipica della società primitiva, è una totalità organica, costituita su alcuni fondamenti, quali i vincoli di sangue (famiglia e parentela), di luogo (vicinato) e di spirito (amicizia).
L’insieme di questi rapporti è costituito da intimità, riconoscenza, condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi, ricordi ed esperienze comuni.
Le diseguaglianze hanno spazio solo entro certi limiti, oltrepassati i quali i rapporti divengono rari e insignificanti, fuoriuscendo da “comunanza” e “condivisione”.
Essa è dunque un Tutto la cui portata non è la semplice somma delle sue parti, ma qualcosa in più, e nel quale la reciproca assistenza e la solidarietà si sviluppano a partire dal bene comune.
La Geselleschaft (Società), invece, è tipica della società industriale moderna. Essa è “una costruzione artificiale, un aggregato di essere umani, e solo superficialmente assomiglia a una comunità, dove gli individui restano essenzialmente separati, nonostante i fattori che li uniscono” (Tönnies, 1963, p. 83).
Nella società, gli individui vivono per conto loro percependo come minaccia ogni tentativo di entrare nella propria sfera privata. I rapporti sono improntati sul modello dello scambio di mercato e non mettono in relazione gli individui come “totalità”, ma soltanto per le loro “prestazioni”.
Tuttavia tra i due modelli, Gemeinschaft e Gesellschaft , non vi è netta separazione, e dunque in una delle due è presente a vario grado anche l’altra.
E sarà questo il caso della società odierna e postmoderna, nella quale affiorano in forma embrionale nuovi modelli comunitari, studiati anche dal sociologo francese Michel Maffesoli, e definiti, per tutto il loro portato magico-ritualistico, “tribù metropolitane” (1988).
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La tribalità postmoderna
In un quadro di liquidità dei rapporti, e di decadimento delle grandi costruzioni filosofico-morali si insedia dunque la postmodernità[1] e le sua specifica forma di aggregazione che col supporto del sociologo Michel Maffesoli non esitiamo a definire della “tribalità postmoderna”.
Questa si configura infatti come un rimodulamento della forma aggregativa moderna, basata sulle grandi narrazioni di tipo religioso o ideologico, le quali proiettavano l’individuo e il senso del suo esistente sul futuro, e su quanto di buono stesse costruendo per il futuro suo e della sua comunità di riferimento.
Grandi narrazioni, però, che scindevano l’uomo dal suo ideale (Dio o l’ideologia di riferimento), eludendo in questo modo l’“esserci” (1996) di heideggeriana memoria – concetto ripreso dai filosofi Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti ne Il pensiero debole (2010) – in virtù di un dover essere e di una tensione di stampo etico-morale.
Le tribù postmoderne si aggregano sulla base di simboli e rituali di carattere magico, seppur facendo grande uso della medialità odierna, e costituendo così un mix di arcaismo e tecnologia.
Un riflesso di ciò che stesso per Maffesoli sta accadendo nei vertici della società, con l’adeguamento anche dei circuiti élitistici e massonico-iniziatici volto al superamento dell’“epoca dei lumi” e del progressismo classico, ordinato su una concezione “lineare del tempo”[2] .
Al posto di tutto questo un ritorno dell’“estatico collettivo”, da intendersi nella accezione heideggeriana di ek-stasi , ovvero del “proiettarsi al di fuori di sé”, per sentirsi identificati all’interno di una architettura “olistica”, e sulla base – oltre che di simboli e immagini – di pulsioni, istinti e stimoli, che hanno in sé un carattere prettamente magico e “a-razionale”, più che irrazionale, oltre che a-morale.
La perdita di carica delle grandi narrazioni ideologiche e lo snobismo verso le possibilità di carattere politico e macrosistemico, favoriscono le relazioni di prossimità, o meglio “prossemia”[3] , e soprattutto il vivere nel “qui ed ora”, dando massima importanza al presente che sostituisce il futuro secondo il processo sopradescritto.
Ma non solo! Oltre al cambio di proiezione del fattore spazio-temporale, si ha addirittura una sacralizzazione di questo, tornando a dare un senso magico al territorio e al popolo che lo abita – vero senso di prossemia –, portatore di una saggezza comunitaria depositata nella memoria, nell’aneddoto, e che sostituisce per importanza altri tipi di suggestioni o di “discorsi” di carattere filosofico o macrosistemico.
Si ritorna dunque al locale, come risposta quasi necessaria all’anonimato e all’omologazione della vita metropolitana, recuperando spazi e segmenti di identità all’interno dell’affollamento cosmopolitico e rompendo anche con l’individualismo borghese, tipico della modernità, in virtù di rapporti prossemici e tribalistici, appunto.
Il superamento del positivismo, e dell’etica borghese e giudaico-cristiana
Quindi, la riconfigurazione “neotribale” dell’esistente si innesta nel passaggio epocale della postmodernità, con la caduta della logica razionalistica e borghese, una logica prettamente “dualistica” legata alle tensione tra l’“essere” e il “dover essere” e alla frattura tra l’Io e il Tutto.
Il principio etico-morale sganciato dal mondo: “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me” (1966, pp. 201-202) di kantiana memoria. Un principio che attiene anche alla logica giudaico-cristiana, che con la fine della paganità stacca il divino dal mondo, allontanandolo dall’uomo.
In base a questa logica, a questa conformazione dell’esistente, figlia di tutta un’impostazione e di una weltanschauung ben precisa, la spinta verso il “dover essere” si concretizza nel desiderio e nel conseguente atto concreto, pratico, “politico”, a vantaggio di una giusta società futura, una specie di paradiso vivente.
Con la postmodernità – e il tribalismo relativo dibattuto da Maffesoli –, la spinta, la “tensione” tra essere e dover essere si capovolge dall’asse verticale (essere/dover essere, uomo/dio), a quello orizzontale; spostandosi dalla logica dell’o/o a quella dell’e/e.
Un asse orizzontale concretizzatosi nella figura del rizoma, grazie a Deleuze e Guattari – sociologi post-strutturalisti, e grandi cantori della postmodernità, oltre a Jean-François Lyotard.
La divinità torna presente sulla terra, e torna presente proprio in quell’insieme di riti aggregativi e simboli, i quali tradiscono un substrato magico-estatico nell’approccio al mondo.
Ritorna il “culto dell’immagine”, a differenza dell’iconoclastia e la sua radice religiosa abramitica. Un’immagine caricata di significati, che vanno al di là del semplice aspetto estetico.
L’estetica esce fuori dal mero carattere di contemplazione dell’immagine, legata a un momento specifico della giornata (andare al museo, ammirare un quadro o una particolare architettura, ascoltare un brano musicale, ecc).
L’estetica guadagna un ruolo primario, pervasivo, onnipresente nell’immaginario, fondando essa stessa l’elemento aggregativo della tribù postmoderna e metropolitana.
Si parte dall’aumento notevole di importanza che si dà alla cura del corpo, rendendolo piacevole allo sguardo dell’altro – secondo un concetto che Michel Foucault ha chiamato “cura di sé”. Ci si abbellisce, così come si va in palestra, si consumano cibi macrobiotici, si privilegia uno stile di vita sano, e il tutto con il fine principale della “condivisione”.
Grazie a questo nuovo modo di concepire l’estetica gli ascoltatori di musica metal, punk, techno o gli ammiratori del cinema horror, gli skaters, i writers, le crew, si aggregano vestendo allo stesso modo, ascoltando lo stesso genere musicale, ammirando lo stesso tipo d’arte, avendo lo stesso tipo di immaginario.
In sostanza si fanno completamente pervadere da essa, oltre che da quei simboli che costituiscono il fondamento, il mito, il “totem” della tribù.
Vi è in ciò il passaggio anche dell’edonismo, come dell’estetica, dalla concezione borghese che vede il godimento come atto individualistico, e specifico di una determinata giornata, ad elemento fondativo dello stare insieme, che “pervade ogni attimo della vita”.
Così lo “stile di vita” passa dalla seconda pelle di cui parlava già un George Simmel in La metropoli e la vita dello spirito ( 1995), con tutto il suo portato di stordimento dell’Io – la “droga della vita sociale” –, a prima pelle dell’identità dell’individuo!
Secondo un passaggio già messo in luce da Edgar Morin in Lo spirito del tempo (2017), il divertimento diviene una vera e propria “nuova etica” che rimpiazza i precedenti “imperativi morali”, e con tanto di dimensione rituale e partecipativa tipica delle società premoderne.
Il “rituale”, punto fondante di un immaginario magico, è ovviamente cardine della tribù metropolitana. Esso assume il ruolo di elemento aggregativo, e può andare dal frequentare lo stesso bar, locale, associazione o luogo d’incontro del territorio, oppure partecipare al grande evento come la partita di calcio.
Una fenomenologia che si ripete per altri importanti eventi della postmodernità e del suo specifico modello “comunitario”, ovvero il raduno musicale, il concerto, il rave party.
Altro elemento interessante messo in luce da Maffesoli nei suoi rapporti tra tribù metropolitana e ritualismo è il ruolo della “parlata”. Lo slang, la parlata caratteristica che lega i membri di un determinato gruppo o tribù, è uno degli elementi che funge da vera e propria iniziazione utile all’accesso, e che rientra perfettamente in quell’atto ritualistico, il “gesto primordiale”, che da vita all’aggregazione e in questo caso all’affiliazione.
È nella similitudine psichica, emozionale, simbolica, antropologica, che il militante o l’attivista si rivede e si aggancia, secondo l’antica legge del “simile che risveglia il simile, del simile che attrae il simile, del simile che si ricongiunge al simile”.
Tribalismo e media
Punto cardine delle tribù metropolitane è il rapporto con la medialità e la tecnologia.
È nella community dei social network che si traspone la comunità, secondo uno schema che prevede una rete di connessioni psichiche favorite dal mezzo telematico.
Un’affermazione della “noosfera” di Pierre Teilhard de Chardin (1973, p. 109), un trasferimento della noosfera verso i mezzi virtuali, mediatici e dalla quale emerge l’“infosfera”, che può essere vista come appunto il trasferimento di questo insieme di connessioni psichiche, di questa coscienza collettiva, la “noosfera”, sul piano variegato dei mezzi di comunicazione.
È anche e grazie a queste piattaforme social (Facebook, Twitter, Instagram, My Space, ecc.) che si realizza l’aggregazione tribalistica maffesoliniana, nella quale ci si affilia per l’attività di following – o anche hating – verso questo o quell’influencer o personaggio pubblico.
O anche ci si raduna sempre per gusti musicali, artistici o per corrente politica, culturale o subculturale.
Giornate e nottate intere di discussione su questa o quella affermazione o fatto, vero o presunto. Discussioni intorno alle quali si ricostruisce il senso dell’esistenza, e anche dell’affetto e della solidarietà, alle quali si partecipa con profili anonimi, magari con effigi particolari (es. di cavalieri medievali), a testimonianza del mix di arcaismo e tecnologia da noi menzionato.
Interessante è notare anche il riorientamento della politica e delle ipotesi critiche e alternative, proprio sulla base dei processi globalistici, postmoderni e tribalistico metropolitani.
Pure il capo politico predilige il mezzo social e la community che vi si crea (il suo elettorato), secondo uno schema che per certi versi sorpassa anche la concezione del “partito personale” (Calise, 2007), ma che entra più in queste dinamiche di carattere spritualistico-cibernetiche – il capo politico come guru di una chiesa o setta, che pontifica a mezzo internet e secondo un meccanismo di stimolazione dell’emotività, della pancia si direbbe, spesso inconcludente e per certi versi liquido e postmoderno, e che Maffesoli definisce “politica del bel canto”.
Anche sul piano delle comunità politiche di critica e alternativa radicale all’ordine esistente, il mezzo tecnologico-mediatico – con tutto il corredo tribalistico da noi menzionato –, gioca il suo ruolo fondamentale. Un ruolo che va oltre la semplice dimensione del mezzo “utile a un fine”, come nella concezione positivistica classica della tecnica e della tecnologia.
Il mezzo “è” il fine – il “medium è il messaggio” recitava McLuhan (2008). Il mezzo permea il fruitore, costruisce la figura del militante o dell’attivista politico, e questo sia dal punto di vista contenutistico dato che la controinformazione politica e culturale si diffonde in questi termini, ma anche di quello del contenuto “non scritto” e “non verbale”.
Ovviamente questo discorso vale in vari contesti, non solo politici, ma anche nel mondo dei guru e degli influencer dell’ambito culturale ad ampio raggio; e ovviamente non solo su scala tecnologico-mediatica, ma anche nel concreto della realtà.
Il totem, il simbolo, l’egregora psichico-mediatica come punto di aggancio, come climax, “ambiente mediatico”, come territorio mediaticamente delimitato, con tanto di confini e guardiani: ecco lo spazio preciso dell’infosfera nel quale si dispone la community, la tribù postmoderna e internettiana.
E ancora linguaggio specifico, modi di reagire specifici, oltre ad idee e visioni del mondo specifiche, tutto calibrato in base alla community determinata: segmenti cyber-spaziali orientati in senso psico-sociale, (sub)culturale e/o politico.
Il medium come facilitatore di aggregazione comunitaria, o forse più pienamente in senso mcluhaniano potremmo dire “creatore” di aggregazione comunitaria.
Una protesi dell’umano che si ibrida con l’umano e dunque anche con la sua capacità di fare o non fare comunità, o di farla proprio grazie al medium.
E questo è quanto!
Postmodernità e nuova realtà digitale
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Bibliografia
Calise M., Il partito personale , Laterza Editore, 2007.
Fabbri B., Il reincanto del mondo nel tempo delle tribù: il contributo di Michel Maffesoli , https://tesi.luiss.it/11025/1/fabri-beatrice-tesi-2013.pdf
Heidegger M., Essere e tempo , testo tedesco a fronte, traduzione di Alfredo Marini, Mondadori, Milano, 1996.
Kant I., Critica della ragion pratica , Laterza Editore, 1966.
Simmel G., Le metropoli e la vita dello spirito , Armando Editore, 1995.
Teilhard De Chardin P., La visione del passato , il Saggiatore, 1973.
Maffesoli M. Cyberculture , (a cura di Fattori A.)
Maffesoli M., Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne , Armando, 1988.
McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, 2008.
Morin E., Lo spirito del tempo , Meltemi Editore, 2017.
Siconolfi R., La proiezione mentale del tuo Io digitale [parte 1] , https://blog.advmedialab.com/la-proiezione-mentale-del-tuo-io-digitale-parte-1
Tönnies F., Comunità e società , Edizioni di Comunità, 1963.
Vattimo G. e Rovatti P. A. (a cura di), Il pensiero debole , Feltrinelli Editore, 2010.
Verhaeghe E., Maffesoli: la pensée maçonnique et la post-modernité