Roberta Maria Randazzo – Interessata alle neuroscienze, alle emozioni e al pensiero sistemico. Grazie allo studio di psicologia, informatica, comunicazione visiva e linguaggio umano, ha sviluppato competenze trasversali preziose.
Il positive affective computing è un campo di studi che nasce dall’unione tra il positive computing e l’affective computing , due correnti di studio nuove e differenti che partono da interessi simili e complementari. Entrambi gli studi si basano sul riconoscimento delle emozioni come parte integrante del processo cognitivo e sono orientate al benessere dell’individuo e delle società.
L’obiettivo della seguente ricerca è quello di valutare la possibilità di applicare il positive affective computing nel contesto di apprendimento con dislessia al fine di proporre uno strumento di interazione che aiuti lo studente a riconoscere le sue caratteristiche (punti di forza e di debolezza) e di conseguenza ad essere sintonico con sé stesso.
Se proviamo a considerare la nostra unità mente-corpo capiamo subito che le emozioni influenzano il nostro modo di essere nel quotidiano e influiscono quindi sulla valutazione del sé e sulla possibilità di realizzazione personale: questo mondo, così lontano a volte dal pensiero comune, la scienza lo riconosce oggi importante tanto quanto la parte razionale dell’essere umano.
Nel dettaglio il seguente articolo tratterà:
Affective computing applications
Grazie all’utilizzo di sistemi e tecnologie digitali e di deep learning, l’uso di sensori e database dedicati, è possibile comprendere le emozioni umane, permettere ai computer di apprenderle ed in ultima istanza simularle.
Cos’è la dislessia
La dislessia dello sviluppo o evolutiva è un disturbo specifico e persistente dell’apprendimento che ostacola il normale processo di interpretazione dei simboli grafici con cui si rappresentano le parole (Stella, 2017): riguarda la trasformazione dei segni dell’ortografia (grafemi) in suoni (fonemi).
Ha origine neurobiologica ed è caratterizzata da una differenza di elaborazione delle informazioni con conseguente difficoltà di decodifica del testo che si manifesta nonostante siano presenti un’intelligenza e un’istruzione adeguata e siano assenti deficit sensoriali.
In quanto disturbo dello sviluppo neurologico, colpisce le capacità cognitive , che sono alla base della capacità di lettura e riguardano il modo di elaborare le informazioni. Le difficoltà di lettura, ortografia e scrittura sono tipiche del deficit e coinvolgono anche la velocità sia di lettura, sia di scrittura.
Ciò ha impatti rilevanti su memoria, velocità di elaborazione, gestione del tempo, coordinazione, sulla capacità di ritenere e generalizzare le informazioni, di utilizzare le conoscenze pregresse e di sviluppare automaticità nell’apprendimento: riuscire a fare qualcosa in modo automatico e coerente.
Si rilevano generalmente discontinuità nelle prestazioni scolastiche , ad esempio particolarmente evidenti sono le discrepanze tra i lavori scritti e orali. Sono comunemente associati disturbi emotivi e comportamentali.
La dislessia dello sviluppo non è una malattia perché, al contrario delle malattie, non è transitoria, non consiste in un’alterazione di determinate condizioni di partenza e non esiste un rimedio chiaro e rapido per eliminarla (Stella, 2017).
Il disturbo è piuttosto associato a fattori genetici, strutture cerebrali, fattori neurocognitivi e ambientali. Possono inoltre essere presenti difficoltà visive e/o fonologiche e la diagnosi può essere accompagnata da difficoltà secondarie in altri aspetti dell’apprendimento come la comprensione della lettura o il ragionamento matematico.
Fattori primari e secondari
Nonostante la dislessia dello sviluppo abbia una base neurobiologica universale bisogna riconoscere la possibilità che ci siano ulteriori fattori associati. Ad esempio, già da bambini, il tipo di ortografia che si sta assimilando è un fattore culturale primario che influenza i processi di acquisizione della lettura sia nello sviluppo tipico che in quello atipico.
Infatti, facendo un confronto tra i diversi Paesi, la dislessia risulta essere più visibile o meno compensata nelle lingue con un’ortografia “opaca”, ovvero, in cui vi è un alto grado di discrepanza tra grafema (segno scritto) e fonema (suono prodotto), e questo riguarda, ad esempio, la lingua inglese; l’italiano viene di contro definita “lingua trasparente” in quanto la corrispondenza tra grafema e fonema è regolare.
A seconda della trasparenza ortografica, possono essere coinvolti processi differenti che cooperano nell’influenzare la capacità di lettura. Ci sono prove sostanziali che imparare a leggere con sistemi di scrittura trasparenti è più facile che imparare a leggere con sistemi opachi, come l’inglese o il francese.
Inoltre, alcuni ambienti di apprendimento e lavoro possono accentuare le difficoltà tipiche correlate alla dislessia , mentre altri possono ridurre al minimo l’impatto del disturbo.
Come affermato dal Consensus conference, 2011, i fattori ambientali (scuola, famiglia e contesto sociale) si intrecciano con quelli neurobiologici e contribuiscono a determinare il fenotipo del disturbo, quindi un maggiore o minore disadattamento.
“Se consideriamo la nostra unità mente-corpo capiamo subito che le emozioni influenzano il nostro modo di essere nel quotidiano e influiscono quindi sulla valutazione del sé e sulla possibilità di realizzazione personale.”
Caratteristiche individuali e strategie
Esistono differenze e variabilità individuali da tenere in considerazione: gli studenti con dislessia sono, come tutti, persone con le proprie unicità e tali differenze vanno rispettate. Nella pianificazione degli interventi e degli adattamenti, pertanto, è importante considerare gli stili di apprendimento e il contesto operativo.
Reid (2015) definisce la dislessia come differenza nel modo in cui bambini ed adulti elaborano le informazioni , cioè nel modo in cui le acquisiscono (input), le comprendono, memorizzano e organizzano nella loro mente (elaborazione cognitiva) e dimostrano di possederle (output).
I bambini o i ragazzi con dislessia possono mostrare differenze (che talora assumono la forma di difficoltà) in tutte queste fasi: input, elaborazione e output. Generalmente, tali difficoltà si manifestano in relazione al testo scritto, ma possono interessare anche altre aree dell’apprendimento.
L’aspetto da cogliere quando ci si trova di fronte ad una disabilità specifica è la persistenza delle difficoltà. Questa persistenza non dipende dalla mancata volontà del bambino o dalla carenza di esercizio, ma da condizioni peculiari di partenza che rendono inefficace l’allenamento (Stella, 2017).
Dalle strategie compensative agli interventi precoci
Man mano che progrediscono negli anni di scolarità, i bambini con dislessia adottano strategie compensative per fare fronte alle difficoltà e possono diventare molto abili nel loro utilizzo. Le difficoltà che si manifestano in un quadro di dislessia però possono permanere anche dopo il miglioramento delle abilità di lettura.
È importante specificare che, trattandosi di disturbi su base neurobiologica, dunque non emendabile, gli interventi che possono essere messi in atto a partire dall’individuazione e dall’intervento precoce fino al trattamento riabilitativo sono finalizzati a permettere una compensazione precoce, agendo sui fattori individuali e contestuali (anche scolastici) per limitare efficacemente la compromissione funzionale che ne deriverebbe.
La precocità e la tempestività degli interventi appaiono sempre più spesso in letteratura tra i pronostici positivi.
Le conseguenze: il ruolo delle emozioni nel processo di apprendimento e nella vita
La dislessia si presenta in modo diverso tra i bambini a causa della variabilità del disturbo e del modo in cui l’individuo risponde ad esso e, pertanto, il profilo comportamentale ed emotivo associato è eterogeneo.
Ad ogni modo, poiché sin dai primi anni di scuola i bambini con dislessia possono esperire difficoltà comportamentali o essere percepiti dagli altri come inadatti, il vissuto personale dell’allievo è spesso costellato di insuccessi scolastici e frustrazioni.
Recenti ricerche sulla dislessia e sulle sue conseguenze emotive hanno appurato alti livelli di comorbilità tra difficoltà di alfabetizzazione e disturbi psicologici. Questo potrebbe portare nel tempo allo sviluppo di depressione, ansia, bassa autostima, deficit dell’attenzione e, spesso, a problemi comportamentali.
Pertanto, bisogna riconoscere l’importanza delle emozioni tanto quanto quella delle difficoltà cognitive che influenzano l’apprendimento.
L’ansia è il più frequente sintomo emotivo riportato nella dislessia: la presenza di sintomi riconducibili all’ansia scolastica è presente in circa il 70% dei bambini o ragazzi con difficoltà di apprendimento.
Conseguenze e inneschi
Sintomi correlati all’ansia, come mancanza di concentrazione, mancanza di interesse e attenzione, distrazione, disagio emotivo, tensione, sogni ad occhi aperti, fobie, paura del rifiuto, insicurezza, aggressività e disturbi psicosomatici sono risultati comuni in bambini e adolescenti con dislessia.
L’apprendimento coinvolge la persona nella sua interezza, pertanto gli aspetti emotivi sono importanti da considerare: è quindi necessario rilevare qualsiasi forma di ansia che il bambino sperimenta.
Sebbene non tutti gli studenti con dislessia sperimentino ansia, è comunque importante comprendere le difficoltà emotive di un singolo studente in concomitanza con il compito che svolge. Il tutor dovrebbe quindi lavorare al fine di aiutare a identificare i trigger e potenziali trigger che provocano ansia in modo da gestire ed affrontare le conseguenze emotive più negative.
E gli adulti?
Per quanto riguarda gli adulti, da uno studio condotto nel 2014 in riferimento alle difficoltà psicologiche negli studenti universitari con dislessia, risulta evidente una forte correlazione tra il disturbo e alcuni dei sintomi depressivi e psicofisiologici.
Rispetto al gruppo di controllo, gli studenti con dislessia hanno dimostrato maggiori difficoltà di attenzione e minori livelli di resilienza. Lo studio indica quindi l’importanza di non concentrarsi esclusivamente sullo sviluppo di strategie cognitive nel supportare le persone con dislessia, ma di tenere in considerazione anche il livello emotivo.
In generale, gli studenti adulti con dislessia hanno livelli più elevati di ansia accademica rispetto ai loro coetanei senza dislessia. I sintomi depressivi, invece, si possono manifestare con perdita di interessi, mancanza di energia, umore depresso, difficoltà di concentrazione, pessimismo, tristezza, autocritica, alterazioni del sonno o dell’appetito, problemi di attenzione con incapacità di rimanere seduti a lungo, confusione mentale e frequenti sogni ad occhi aperti.
Le manifestazioni psicofisiologiche possono comprendere tic nervosi, bruciori, acidità di stomaco o dolori alla pancia, emicranie e cefalee, malanni frequenti, forti dolori, nausea e giramenti di testa.
Difficoltà e resilienza
I ricordi delle esperienze vissute negativamente possono avere danni duraturi nell’età adulta. Di conseguenza, gli studenti con dislessia sono spesso frustrati e hanno scarsa autostima a causa della difficoltà a raggiungere certi obiettivi di apprendimento scolastico : il rischio della dislessia è quello di avere esiti negativi in ambito sociale e professionale.
I dati ad oggi disponibili mostrano, in età adulta, un importante impatto della dislessia sia a livello individuale (frequente abbassamento del livello curriculare conseguito e/o prematuro abbandono scolastico nel corso della scuola di secondo grado), sia a livello sociale (riduzione della realizzazione delle potenzialità sociali e lavorative dell’individuo) (Consensus Conference, 2011).
In generale, l’impatto delle difficoltà di apprendimento è costantemente descritto in letteratura come negativo, tuttavia, alcuni individui sono in grado di sviluppare resilienza o empatia e comprensione, suggerendo che, con un adeguato supporto, i disturbi dell’apprendimento possono non presentare conseguenze emotive negative.
Affective computing applications
Grazie all’utilizzo di sistemi e tecnologie digitali e di deep learning, l’uso di sensori e database dedicati, è possibile comprendere le emozioni umane, permettere ai computer di apprenderle ed in ultima istanza simularle.
Self-concept, autostima e motivazione
Ulteriori studi hanno riscontrato che i bambini con dislessia hanno un concetto di sé stessi più negativo rispetto ai bambini senza il disturbo, tendono a provare più ansia e hanno poca stima di sé stessi.
Per concetto di sé (self-concept) si intende la rappresentazione che un individuo ha della conoscenza relativa a sé stesso , rappresentazione che si forma e si modifica attraverso molteplici esperienze con e nell’ambiente.
Il concetto di sé ha un triplice ruolo: mantiene la coerenza nella rappresentazione dell’individuo relativa a esperienze e abilità diverse, influenza il modo di interpretare le esperienze e determina nell’individuo un insieme di aspettative.
La valutazione che gli individui hanno di sé stessi e delle proprie competenze sono aspetti vitali che possono influenzare il benessere psicologico generale.
L’autostima è, infatti, la percezione che una persona ha di sé e del modo in cui, secondo lei, la vedono gli altri. Di conseguenza, gli studenti con DSA sembrano essere a maggior rischio di bassa autostima perché sperimentano molte difficoltà a scuola, sia in termini di performance scolastica, che in termini di accettazione dei compagni.
L’autostima non è importante solo per i risultati scolastici, ma per lo sviluppo personale e per il benessere generale dell’individuo, ha un impatto pervasivo sulle emozioni, sulla cognizione, sul comportamento e sulla motivazione della persona.
Come alimentare la fiducia in sé: il ruolo della motivazione
Alcuni studi hanno rilevato che una bassa autostima è un fattore di rischio per la depressione e porta a sentimenti di inadeguatezza in vari ambiti della vita. Essa può essere fortemente influenzata dai riscontri o feedback che riceviamo dalle altre persone. Dato che, come si può facilmente intuire, i riscontri positivi possono migliorarla, è importante che i bambini ricevano feedback positivi.
Uno degli effetti della bassa autostima è il calo della motivazione , già difficile da mantenere per i bambini con dislessia, soprattutto se si imbattono in frequenti insuccessi scolastici.
In generale, la persona è disposta a impegnarsi quando la speranza di successo supera la paura dell’insuccesso , altrimenti prevale il senso di vergogna e inattività.
A proposito, la teoria di Seligman dell’impotenza appresa sembra particolarmente efficace nel descrivere l’insorgenza di una sintomatologia depressiva nei bambini con dislessia. Secondo l’autore, quando una persona avverte di non poter esercitare alcun controllo sull’ambiente tende a sviluppare quel senso di disperazione e passività tipica dell’umore depresso.
Gli orientamenti metodologici più moderni infatti, affermano la centralità dello studente nel processo di apprendimento. Pertanto, per elaborare modelli efficaci, è essenziale comprendere le dinamiche psicologiche che contraddistinguono l’allievo con dislessia nel contesto scolastico, come le dinamiche motivazionali e le forme d’ansia che spesso vive.
Inoltre, è di fondamentale importanza rendere pienamente comprensibile ai bambini cos’è la dislessia e cosa comporta: avere consapevolezza delle proprie difficoltà, ma soprattutto della propria intelligenza e delle proprie abilità è un processo necessario per un ottimale sviluppo cognitivo.
Tra i bisogni primari dello studente con dislessia c’è quello di esperire la riuscita scolastica e riacquistare fiducia nelle proprie possibilità: affinché l’apprendimento possa realizzarsi, è necessario che lo studente riscopra il piacere di imparare in modo sereno e gradevole , senza percepire un’accentuazione sulle sue difficoltà. È dunque essenziale recuperare la dimensione “piacevole” e “ludica” dell’apprendimento.
È necessario che i genitori comunichino con il figlio e affrontino apertamente ogni possibile ansia e preoccupazione, concordando insieme il modo più opportuno di procedere. Indipendentemente dall’età del figlio, occorre considerare i suoi bisogni emotivi. La forza emotiva può fare moltissimo per aiutare ogni bambino ad affrontare le difficoltà che la dislessia comporta in ogni fase del percorso scolastico.
Informarsi sul problema è certamente la prima cosa da fare per acquisire maggiore consapevolezza e anche per “ridimensionare” il disturbo stesso. Il genitore deve quindi collaborare sia con gli specialisti che con gli insegnanti al fine di attuare interventi cognitivi e motivazionali focalizzati sulla modificazione dei pensieri disfunzionali.
Secondo i vari studi, le difficoltà emotive esacerbano ulteriormente gli aspetti chiave della dislessia. Pertanto, il funzionamento emotivo è un obiettivo particolarmente importante poiché influenza molti altri aspetti dell’individuo.
Ne consegue che il supporto emotivo e dell’autostima è fondamentale per ridurre l’impatto negativo a livello dell’individuo, della famiglia e della società: la consapevolezza del sé potrebbe essere un fattore chiave nella relazione tra la risposta emotiva alla dislessia dello sviluppo e gli esiti in più domini.
Tecnologie per la dislessia
Le tecnologie, in generale, concorrono al successo formativo e accompagnano il bambino in diverse fasi:
Screening : nella diagnosi e nell’individuazione precoce del disturbo
Abilitazione o riabilitazione , per potenziare le abilità cognitive e le funzioni esecutive. L’abilitazione mira a potenziare le abilità di letto-scrittura
Compensazione , per compensare le difficoltà o carenze, permettendo a tutti di svolgere gli stessi compiti; la compensazione invece riguarda la possibilità di limitare i danni dovuti al deficit
Comprendere le difficoltà specifiche della dislessia e come possono influenzare le prestazioni di apprendimento è di fondamentale importanza per l’insegnante al fine di adottare metodi e strategie adeguati.
A proposito di tecnologie compensative, negli ultimi anni sono stati introdotti modelli di apprendimento basati su computer per integrare il modello di insegnamento tradizionale che comunemente utilizza penna, carta o altro materiale.
Scegliendo lo strumento più affine alle caratteristiche e alle qualità del bambino è possibili attraverso i dispositivi tecnologici stimolare le diverse modalità:
Uditive : registrazioni, attività che aumentano il ritmo, il tono e il volume della voce
Visive : immagini, schemi, mappe mentali e concettuali, filmati
Cinestetiche : toccare, muovere, fare attività pratiche come disegnare, costruire mappe, manipolare oggetti
Il modello di apprendimento basato su computer utilizza programmi software per facilitare il processo di apprendimento. Questo è risultato interessante, intuitivo, attraente e di supporto . Tuttavia, sono state identificate diverse sfide chiave dai modelli esistenti.
La prima sfida è quella di affrontare le diverse difficoltà cognitive o più combinazioni di diversi problemi cognitivi. La seconda sfida sono i modelli di apprendimento esistenti che sono strettamente correlate al riconoscimento del comportamento della dislessia e che per lo più non enfatizzano le emozioni degli studenti.
Pertanto, è importante fornire un ambiente di apprendimento adattivo che comprenda sia le difficoltà emotive che le prestazioni dello studente con dislessia.
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La proposta di un nuovo strumento
Visto che in generale l’autostima e la consapevolezza del sé influenzano le proprie interazioni nel quotidiano, in ambiente familiare, scolastico, lavorativo quindi nella vita sociale in generale, avendo chiaro il legame tra apprendimento ed emozioni , di seguito esamineremo gli aspetti necessari per poter creare uno strumento di supporto che tenga conto dello stato affettivo del soggetto con dislessia al fine di migliorare l’interazione in un contesto di apprendimento.
La proposta di sistema si basa sul positive affective computing e ha lo scopo ultimo di interagire al fine di portare la persona ad un stato affettivo positivo. Per fare questo il sistema deve innanzitutto essere capace di rilevare lo stato emotivo dell’utente.
Nella letteratura scientifica popolare, Il libro di Goleman Intelligenza Emotiva (1995), solleva la questione di come le emozioni influiscono sull’apprendimento e viceversa. A proposito ci chiediamo: lo studente riesce a gestire la frustrazione quando l’apprendimento è difficile?
Goleman afferma, sebbene con pochi preziosi dati alla mano, che gli insegnanti esperti sono molto abili nel riconoscere e affrontare gli stati emotivi degli studenti e, in base a impressioni, intraprendono alcune azioni che hanno un impatto positivo sull’apprendimento. Ma cosa vedono questi insegnanti esperti e come decidono una linea d’azione è una questione aperta.
In merito all’applicazione dell’affective computing al dominio della dislessia non sono presenti studi di ricerca scientifica, ma sono stati effettuati sforzi di integrazione dei sensori per il rilevamento delle emozioni durante il processo di apprendimento con l’obiettivo di identificare le emozioni degli studenti mentre interagiscono con sistemi informatici.
Ad esempio, in Cina sono state installate telecamere per monitorare le emozioni degli studenti, scansionando le espressioni facciali ogni 30 secondi e avvisando l’insegnante se l’attenzione di un allievo scende al di sotto di un certo livello. Negli Stati Uniti, le webcam sono state utilizzate per registrare gli studenti durante le sessioni di tutoraggio al computer e identificare i livelli di coinvolgimento e frustrazione.
Misurando gli indici emotivi a partire dall’attivazione fisiologica durante le prestazioni dello studente è possibile sostenere la comprensione degli stati emotivi che contribuiscono alla salute e al benessere umano?
Nel paragrafo successivo accenneremo al possibile uso delle inferenze emotive in concomitanza delle prestazioni, per fornire dei feedback atti a migliorare la capacità di gestione e conoscenza da parte del soggetto.
Affective computing e dislessia
Un chiaro obiettivo dei sistemi di riconoscimento delle emozioni in un contesto reale è quello di essere applicabili in maniera discreta e non invasiva. Un sistema ecologico di riconoscimento delle emozioni basato su dispositivi indossabili potrebbe, potenzialmente, fornire informazioni sui trigger e potenziali trigger rilevati negli studenti.
Come avviene questo processo? Attraverso l’integrazione dei parametri fisiologici e audio-visivi registrati dal sistema multimodale e lo studio del contesto. Ad esempio all’interno di un compito di lettura o di calcolo, oppure durante una seduta di abilitazione o di riabilitazione.
Come affermano Livingston et al (2018) è possibile che le caratteristiche della dislessia possano essere prevenute o ridotte mediante l’identificazione delle difficoltà e attraverso rimedi precoci. La figura rappresenta un diagramma schematico delle conseguenze che possiamo tenere in riferimento per obiettivi e meccanismi di supporto.
Al fine di prevenire gravi conseguenze secondarie e al fine di provare a lavorare sul concetto del sé e sul benessere emozionale, miriamo ad individuare i livelli di stress durante la fase di “svolgimento del compito”.
Ipotizzando di somministrare dei compiti che consistono nella lettura e che potrebbero richiedere sforzi di memorizzazione e di attenzioni attraverso ad esempio la richiesta di compilazione di domande di valutazione, individuiamo i trigger o i potenziali trigger mediante l’intersezione degli indici emotivi e il compito:
In quale parte del compito il ragazzo ha sviluppato sentimenti negativi?
Quanto questo momento ha influito sulla performance?
Come spiegato in precedenza autovalutazioni negative e sentimenti di inadeguatezza portano ad una serie di problematiche legate all’autostima, quindi alle relazioni sociali, al comportamento e al benessere emotivo. Nonostante il funzionamento emotivo possa essere considerato una conseguenza secondaria della dislessia, è particolarmente importante poiché influenza quasi tutti gli altri aspetti dell’individuo.
Le difficoltà emotive probabilmente esacerbano ulteriormente le difficoltà di apprendimento creando un loop che può alimentare negativamente le funzioni cognitive ed esecutive.
Nel seguente paragrafo ci concentreremo dunque sulle modalità ecologiche che potrebbero essere utilizzate per il rilevamento degli indici emotivi (sia relativi allo stress, sia attinenti ad emozioni positive).
Misure ecologiche per rilevare le emozioni
I device potenzialmente utilizzabili per il rilevamento delle emozioni dovrebbero, soprattutto in un contesto di apprendimento, non essere invasivi. Al fine di una misurazione ecologica e non invasiva consapevole del contesto, ipotizziamo di misurare i segnali fisiologici interni attraverso un braccialetto elettronico o uno smartwatch mentre, i parametri esterni, attraverso una fotocamera e un eye tracker basato su schermo.
L’obiettivo di questa parte del sistema è individuare gli indici emotivi attraverso dei sensori di misurazione , al fine di comprendere qual è quella parte di interazione che per quello specifico studente è più critica. La proposta di sistema che permetta di individuare i trigger e i potenziali trigger deve essere ecologica , in modo da limitare la fonte di rumore e multimodale, in modo da fornire una rilevazione emotiva che sia il più attendibile possibile.
Ad esempio, se durante la lettura della terza riga un soggetto aggrotta la fronte e il suo battito cardiaco rallenta, vuol dire che ha comunicato un determinato sentimento parallelamente al compito in corso.
Nella seguente figura è fornito un esempio di rilevazione del segnale elettrico relativo alla risposta galvanica della pelle durante la somministrazione di trigger introdotti dallo sperimentatore : come è possibile notare, i picchi di conduttanza coincidono con la somministrazione del trigger.
In questa sede, mi limiterò a descrivere i segnali fisiologici interni ed esterni misurabili attraverso l’utilizzo dei dispositivi sopra indicati. Escludo pertanto l’ampia mole di lavoro svolto nel campo del riconoscimento degli stati affettivi basato sull’elettroencefalogramma a causa dei limiti pratici dell’EEG negli scenari di vita reale, pur riconoscendone il ruolo fondamentale nella storia delle neuroscienze.
Segnali fisiologici interni
Il riconoscimento delle emozioni basato su dispositivi indossabili utilizza i cambiamenti nella fisiologia per individuare i correlati delle emozioni. Sono stati condotti numerosi studi nell’area del riconoscimento delle emozioni utilizzando segnali fisiologici.
Il riconoscimento delle emozioni basato su segnali fisiologici è applicato in molte aree come la sicurezza stradale, la salute e il benessere sociale. Queste risposte sono in gran parte attivate involontariamente e quindi non possono essere facilmente controllate. Studi in psicologia hanno dimostrato che le emozioni possono suscitare diversi cambiamenti fisiologici che possono essere misurati direttamente, come la respirazione, la sudorazione, la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e le contrazioni muscolari.
Gran parte di questa ricerca è guidata dalle forti tradizioni della psicologia fisiologica e della psicofisiologia. Ad esempio, i cambiamenti nelle emozioni quando si ascolta della musica possono essere rilevati attraverso i cambiamenti nella conduttanza della pelle e nella frequenza cardiaca.
Sebbene le misure fisiologiche possano essere utilizzate con un certo successo nella stima delle emozioni, è importante notare che la relazione è correlazionale e non causale. È stato dimostrato infatti che le emozioni suscitano risposte fisiologiche, ma anche le risposte fisiologiche possono suscitare emozioni e queste sono anche abbastanza dipendenti dalle differenze individuali.
La maggior parte delle misure utilizzate per monitorare gli stati fisiologici sono basate su registrazioni di segnali elettrici prodotti da cervello, cuore, muscoli e pelle. La quantità di informazioni che i segnali fisiologici possono fornire è in aumento, principalmente grazie a importanti miglioramenti nell’accuratezza delle apparecchiature psicofisiologiche e delle tecniche di analisi dei dati utilizzate.
I sensori indossabili registrano principalmente parametri fisiologici e inerziali e i parametri osservabili in questi casi forniscono preziose informazioni relative allo stato emotivo dell’utente.
Gli stati emotivi infatti, si verificano spontaneamente e sono accompagnati da determinati schemi fisiologici. Queste risposte sono difficili o addirittura impossibili da controllare per gli esseri umani.
Segnali fisiologici esterni
Nell’ultimo decennio, c’è stato un notevole aumento di interesse per i metodi di riconoscimento delle emozioni basati sull’analisi delle espressioni facciali, della postura del corpo e dei gesti. I metodi di riconoscimento delle emozioni basati su queste analisi si basano sulla stessa ipotesi dei segnali fisiologici: anche le posture e i gesti del corpo sono coinvolti nella risposta delle emozioni e quindi adatti a riconoscere le stesse.
I segnali fisiologici esterni sono rilevabili attraverso dispositivi come videocamera, microfono e l’eye tracker per quanto riguarda il movimento degli occhi. Sono quindi approcci basati su informazioni audiovisive.
L’analisi dell’espressione facciale, dei movimenti del corpo, del parlato e dei gesti sono metodi senza contatto applicabili per il riconoscimento delle emozioni in diversi contesti operativi.
Durante il processo di apprendimento sono stati effettuati sforzi di integrazione dei sensori per il rilevamento delle emozioni con l’obiettivo di identificare le emozioni degli studenti mentre interagiscono con i sistemi informatici.
Approcci teorici, limiti e sviluppi futuri
Oggi come non mai è emersa la necessità di comprendere meglio il nostro “mondo interiore”. La neuroscienza affettiva suggerisce che alcuni fenomeni emotivi, nonostante influenzino la memoria e il comportamento, potrebbero non essere sperimentati coscientemente.
In generale, viviamo spesso immersi in un flusso costante di informazioni che ascoltiamo o vediamo sia attivamente che passivamente , attraverso i vari device e applicazioni dell’informazione, compresi TV, PC, smartphone, e wearable, anche contemporaneamente.
Sviluppare la capacità di scegliere cosa è giusto per noi , quindi una reale capacità critica, alla luce di una vera comprensione delle proprie emozioni è un fattore importante per l’individuo e grazie a dei sistemi affettivi e al calcolo computazionale abbiamo la possibilità di comprendere davvero i meccanismi che scatenano in noi sensazioni positive e negative.
Secondo diversi studiosi l’introspezione porta a una maggiore consapevolezza di sé e alla comprensione di come viviamo le nostre vite ; questo può aiutarci a muoverci in direzioni della vita più o meno apprezzate. Capire noi stessi, quindi sviluppare la consapevolezza dei propri limiti e capacità, è il primo passo che potrebbe aiutare ad affrontare la vita con gioia e consapevolezza, scegliendo di vivere le difficoltà come necessarie al processo di crescita.
Un breve excursus
Ripercorrendo l’evoluzione dei sistemi computazionali orientati verso le emozioni dell’individuo, Rosalind Picard conia nel 1995 il termine affective computing con l’obiettivo di dare alle macchine la capacità di rilevare lo stato emotivo dell’essere umano e adattare il comportamento della macchina in base ad esso. Sin dalle origini della disciplina la sfida preposta è quella di riconoscere e rispondere in modo intelligente alle emozioni umane.
In un’intervista del 2019 Picard ha affermato che è possibile far evolvere l’intelligenza artificiale verso una direzione tale da aiutare le persone ad essere persone migliori , dando loro ciò di cui hanno bisogno per stare bene. Per fare questo bisogna orientare la ricerca verso soluzioni applicative più economiche e più ecologiche. Pertanto, è possibile asserire che l’approccio positivo o meglio dire olistico dell’affective computing è intrinseco alla disciplina stessa sin dalle sue fondamenta.
In un secondo momento, il positive computing, ha messo in gioco gli studi di psicologia positiva che hanno orientato la ricerca verso un approccio ancora più consapevole del ruolo delle emozioni positive e negative nel benessere delle persone. Questa disciplina ha dato maggiore enfasi, come già discusso nel precedente articolo alla progettazione di sistemi orientati al benessere della persona e al ruolo del feedback affettivo.
Quindi, se da un lato l’affective computing si occupa del calcolo computazionale legato al riconoscimento degli indici emotivi per migliorare l’intelligenza artificiale e l’interazione uomo-computer, dall’altro lato il positive computing si occupa del calcolo e della progettazione di tecnologie orientate al benessere dell’essere umano.
Partendo da approcci differenti entrambe le discipline trovano il feedback affettivo come potenziale punto di incontro.
“Sviluppare la capacità di scegliere cosa è giusto per noi è un fattore importante per l’individuo e grazie a dei sistemi affettivi e al calcolo computazionale abbiamo la possibilità di comprendere davvero i meccanismi che scatenano in noi sensazioni positive e negative.”
Teoria ecologica
Come anticipato, questo lavoro di ricerca è stato orientato da un approccio ecologico all’apprendimento e, in particolare, all’apprendimento in contesti di dislessia. La teoria dei sistemi ecologici è adatta per aiutare a comprendere come interagiscono i sistemi di elaborazione affettiva e gli esseri umani (insieme ad altri fattori ambientali) e può evidenziare come le variazioni nella progettazione e implementazione di sistemi o prodotti possono portare a risultati diversi e più o meno desiderabili.
La teoria dei sistemi ecologici rappresenta una convergenza di scienze biologiche, psicologiche e sociali. Attraverso lo studio dell’ecologia dello sviluppo umano, gli scienziati sociali cercano di spiegare e comprendere i modi in cui un individuo interagisce con i sistemi correlati all’interno del suo ambiente.
A questo proposito, rifacendoci alla teoria della cognizione di Maturana e Varela (1980) individuiamo la necessità di considerare l’emozione come parte del processo cognitivo e definiamo ecologico un sistema di supporto che tiene conto non solo degli aspetti cognitivi, ma anche degli aspetti emotivi dell’individuo.
Un sistema ecologico consapevole si basa su un approccio sistemico e dinamico alla conoscenza di un fenomeno, pertanto, non vincoliamo la ricerca allo studio del calcolo computazionale, ma alla presa in carico di aspetti legati all’usabilità, all’interfaccia del sistema e allo studio dei feedback affettivi tramite la collaborazione tra neuropsicologi e ingegneri, affinché il carico cognitivo dello studente possa essere limitato agli sforzi relativi allo studio del materiale scolastico e non allo studio del sistema.
Inoltre, i fenomeni affettivi non possono essere compresi a livello individuale, ma devono essere sempre studiati come un processo sociale. Pertanto, le prospettive che vedono le emozioni come espressioni, incarnazioni e prodotti della valutazione cognitiva devono essere integrate alle teorie che evidenziano la funzione sociale delle emozioni.
Sviluppi futuri
Oggi è quindi possibile supportare la contestualizzazione e la personalizzazione dei sistemi in modo che al momento opportuno, in contesti di apprendimento, venga fornita la giusta risorsa di psicologia positiva. Ad esempio, se i dati suggeriscono che l’utente è stressato, il computer può fornire un feedback in quel momento attraverso una risposta specifica che è adeguata alla persona.
Avvisare gli utenti, ad esempio, della presenza di situazioni emotivamente stressanti, nel momento in cui si verificano, dà loro la capacità di rispondere immediatamente con maggior consapevolezza. Pertanto ci chiediamo: come possiamo intervenire affinché il ragazzo con dislessia possa essere consapevole dei momenti negativi senza identificarsi con essi?
A tal proposito, in funzione degli sviluppi futuri di questo lavoro, alla luce della proposta di sistema, si potrebbe pensare di intervenire attraverso l’utilizzo di feedback puntuali adeguati allo stato affettivo. Questo permetterebbe di agire a livello della consapevolezza del sé, il fine è quello di migliorare la capacità di gestione e conoscenza delle proprie emozioni.
Già dal 2002 sono stati costruiti sistemi informatici interattivi capaci di rilevare ed etichettare aspetti dell’espressione emotiva umana. Questi sistemi di lavoro supportano l’idea che un computer può intervenire nel modulare alcuni dei sentimenti negativi aiutando l’utente a gestire il proprio stato emotivo e rispondendo, quindi, con interazioni di supporto emotivo.
Quali sono i feedback affettivi e quali sono i momenti per intervenire è una questione aperta di cui dovrà occuparsi un team di ricerca interdisciplinare: ricerca sul positive affective computing da un lato e ricerca neuropsicologica dall’altro.
Alla luce della funzione sociale legata allo sviluppo delle emozioni, potrebbe essere utile, soprattutto per un bambino di scuola elementare, media o superiore, che questo strumento permetta alla rete (clinico, genitori, insegnanti) di avere un report delle prestazioni, in modo da orientare il loro supporto tenendo conto anche degli indici emozionali.
Questioni etiche
L’affective computing ha sempre sottolineato la necessità di un equilibrio per l’uso corretto della tecnologia. Non si è mai trattato di realizzare macchine che apparissero “più emotive”; si trattava invece di realizzare macchine più efficaci nell’interazione con l’utente.
Nei vari studi attinenti al mondo dell’affective e del positive computing le questioni etiche sono spesso trattate in funzione delle ricerche in laboratorio e della privacy dei dati di cui non ci occuperemo in questa sede. Una delle questioni invece relative al ruolo del positive affective computing nell’apprendimento riguarda il timore di progettare sistemi che si sostituiscono alla capacità dei bambini e degli adolescenti di riconoscere ed autoregolare le proprie emozioni.
Considerando il nostro dominio applicativo, cioè il contesto di apprendimento per studenti con dislessia, la proposta di questo strumento nasce dall’impatto che esigenze di tipo emotivo, largamente discusse in precedenza, hanno sui ragazzi con dislessia durante le fasi di scolarizzazione. Pertanto, la rete fatta da genitori, clinici ed insegnanti dovrebbe supportare la capacità di gestione delle proprie emozioni a prescindere da un sistema di intelligenza artificiale che supporti e stimoli lo sviluppo di queste capacità.
Il sistema proposto, nasce appunto dalle esigenze emotive che, a causa delle attuali lacune nel sistema scolastico, non vengono tenute in considerazione.
Le persone con dislessia hanno molte difficoltà nell’apprendimento e nell’automatizzazione della lettura , pertanto, faticano nel corso degli studi scolastici in quanto la società odierna impone la lettura come unico (o quasi) strumento di apprendimento.
Considerando il momento storico di evoluzione nelle componenti psicologiche e olistiche legate alla sfera umana, confido nella capacità degli studi pedagogici di incoraggiare lo sviluppo di una rete che sappia occuparsi delle esigenze emotive dell’individuo senza sottovalutare o ignorare tali bisogni.
Ad ogni modo, un supporto ecologico è progettato proprio per la necessità di costruire un sistema che possa supportare le persone a comprendere sé stesse , attraverso uno strumento discreto che aiuti a considerare come vere e reali quelle emozioni che alcuni di noi spesso non ascoltano, che esse siano positive o negative.
Sviluppare la capacità di gestione delle emozioni, riconoscendo anche quelle negative è necessario per l’autonomia e l’indipendenza personale. Così, deduciamo che questo applicativo possa essere utile anche in domini differenti dal contesto di apprendimento con dislessia.
Come affermato da Antonio Damasio, stimolare positivamente l’emozione può contribuire a supportare i processi percettivi, decisionali, creativi, di comprensione empatica, della memoria e delle interazioni sociali.
Affective computing applications
Grazie all’utilizzo di sistemi e tecnologie digitali e di deep learning, l’uso di sensori e database dedicati, è possibile comprendere le emozioni umane, permettere ai computer di apprenderle ed in ultima istanza simularle.
Conclusioni
Nel presente lavoro è stato fatto lo sforzo di coniugare due ambiti (rispettivamente informatica e psicologia) che storicamente hanno presentato una netta separazione, ma che, come testimonia l’affective computing e il positive computing nel tempo si stanno sempre più avvicinando.
Le nuove tecnologie, infatti, si sono rivelate utili strumenti di supporto per svariati contesti applicativi, tra cui quello relativo all’apprendimento. In particolar modo, la nostra proposta si è orientata verso un contesto di apprendimento di studenti con dislessia, fertile campo per l’applicazione di metodologie di positive affective computing in grado di integrare e supportare le performance dello studente.
Questo lavoro ha cercato di portare alla luce un problema che si tenta di risolvere: lavorare a livello emotivo della persona con dislessia potrebbe aiutare a sviluppare una maggiore consapevolezza del sé e alimentare positivamente la sua autostima. Questo si spera possa aiutare a non appesantire le difficoltà legate ai processi cognitivi ed esecutivi con fattori emotivi su cui è possibile intervenire.
Grazie all’affective computing è possibile vedere l’emozione come qualcosa che, seppur con limiti, può essere misurato e sfruttato a beneficio dell’utente nell’interazione uomo-computer per raggiungere un determinato obiettivo, tenendo conto che il reale contesto applicativo non può che rispondere a un lavoro di equipe multidisciplinare che coinvolga neuropsicologi ed informatici: sarà necessario proseguire la ricerca interdisciplinare prima di una valida implementazione del sistema proposto.
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