Roberto Siconolfi – classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo.
Lo smart working è la nuova frontiera del lavoro. E come ogni fenomeno nuovo, è necessario comprenderne i rischi e le opportunità, oltre che il contesto.
Da un lato la società gassosa, dell’atomismo relazionale, del distanziamento sociale , dall’altro lo sviluppo tecnologico-digitale, anche in ambito lavorativo e burocratico costituiscono l’humus per questa trasformazione.
Come ogni cambiamento di portata storica, epocale, bisogna comprendere i rischi, i limiti e i vantaggi e le opportunità.
E soprattutto, come per l’avvento del digitale, bisogna comprendere tutto il quadro.
In particolare quello economico, in questo caso, dal quale inevitabilmente deriva anche la possibilità di integrare tali trasformazioni nella vita umana.
Dobbiamo comprendere la società postindustriale e postmoderna , la grande svolta impressa dal Covid-19 e dall’uso di determinate tecnologie nella vita umana, e lavorativa.
In questo articolo parleremo di:
Webinar & Live Q&A – 6 Dicembre dalle 16:00
Smartworking ed economia postindustriale
Lo smart working si inserisce in quel clima che, come si evince dai migliori analisti di ambito sociale, economico, politico, ha portato al superamento del modello industriale fordista , di tipo otto-novecentesco.
Se con la rivoluzione industriale (le prime due, dalla seconda metà del ‘700 in poi) si ha l’avvento del modello economico capitalista , basato sul lavoro di fabbrica, attraverso l’impiego di macchinari pesanti, della produzione di massa, attraverso il lavoro di massa, con altrettanto masse di lavoratori impiegate per numerose ore della giornata, successivamente, questo modello dopo varie evoluzioni si trasforma in altro.
Passando per taylorismo e fordismo, nel primo ‘900, il modello capitalista subisce una mutazione avviandosi al post-fordismo (la terza, a partire dal 1970).
Mentre il taylorismo, organizzava scientificamente il processo produttivo razionalizzando, pianificando e scomponendo la produzione, il fordismo applica questo modello nella fabbrica, grazie a standardizzazione e divisione del lavoro, e la catena di montaggio .
Il postfordismo si caratterizza per un passaggio a un sistema maggiormente basato sui servizi, sul lavoro impiegatizio in tale ambito, in un ampio uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) , di una certa flessibilità nel modello produttivo – passaggio dalla produzione di massa a quella just in time – e infine di una sempre maggiore femminilizzazione della forza lavoro e di estrazione cognitiva di plusvalore.
Il tutto in un clima di globalizzazione , e dunque di passaggio da strutture produttive capitalistico-nazionali a quelle multinazionali e globalizzate, e poi di crescente peso dell’economia finanziaria, fino a giungere a livelli di surclassamento della stessa finanza verso il capitalismo produttivo (finanzcapitalismo[1] ).
E questo è il contesto economico nel quale sorge lo smart working.
Smart working e società postindustriale
Questa trasformazione dalla produzione di massa, pesante, fordista, a quella post-fordista, flessibile, just in time si accompagna ad un processo di trasformazione dell’intero tessuto sociale ed antropologico.
Da questo punto di vista, lo smart working, è prettamente inerente al passaggio dalla società di massa, fondata su ideologie e religioni di massa (liberalismo, marxismo, cristianesimo) ad una liquida, nel senso di Bauman[2] , nel tempo della dissoluzione dei legami (famiglia, chiesa, comunità, partito).
Da questo passaggio emerge sia un modello che potremmo definire atomistico , in senso relazionale, e cioè fondato sull’individuo che basta a se stesso.
Sia un modello aggregativo, di stampo tribalistico, come indicato da un Michel Maffesoli , nel quale l’individualità si discioglie nel gruppo, nel collettivo, e nel suo specifico culto totemico (sport, musica, subcultura, stile, ecc.).
Da qui ulteriori fenomeni degenerescenti , il dividuo , e cioè l’abdicazione dell’individuo ad una sua struttura che lo tenga unito, individuato , e che poteva essere data appunto dall’adesione ai valori, religiosi, ideologici e civili sopramenzionati.
Un processo che porta dunque ad un suo sfaldamento interno, ad una sua divisione , parcellizzazione, secondo quei fenomeni post-materialistici da noi indicati in altri articoli come caratteristici del mondo postmoderno .
Distanziamento sociale e società gassosa come base dello smart working
Da un punto di vista fisico se non addirittura alchimico, potremmo definire l’affermazione di questo modello come di uno stato gassoso della società.
È il fisico italiano Emilio Del Giudice ad aver definito tale modello, dove appunto la varie parti non funzionano più all’unisono, ma sono costituite da tanti elementi sganciati, polverizzati, volatilizzati, caput mortum per utilizzare un’espressione di René Guénon[3] .
Sempre per il fisico italiano è opportuno che queste parti tornino a muoversi in maniera, coordinata, a costituire un dominio di coerenza , che possa portare dallo stato gassoso a quello liquido (non nel senso di Bauman).
Interessante da questo punto di vista è notare come determinati provvedimenti degli ultimi anni, in merito al Covid-19, abbiano assunto caratteristiche definizioni.
Il distanziamento sociale è forse la principale. Attenzione non si è parlato di un semplice distanziamento fisico, di sicurezza sanitaria, medica, ecc., bensì sociale .
E gli effetti prodotti (dal lockdown allo smart working, dalla didattica a distanza alla grande spinta per e-commerce e le relazioni on line) ne sono stati la realizzazione piena.
Ognuno a casa propria connesso agli altri attraverso il web. E questo è davvero un modo per tenere coesa la società tutta?
Attraverso connessioni che, pur nella loro particolarità da noi evidenziata in alcuni articoli , non sono connessioni piene, ma appunto il legame che possono avere tante particelle allo stato gassoso, che librano nella stessa aria, nell’infosfera, ma senza essere per davvero collegate.
Webinar & Live Q&A – 17 Novembre dalle 16:00
La storia dello smart working: dagli anni ‘70 alla pandemia
Il concetto di smart working nasce con The Telecommunications – Transportation Tradeoff (1973)[4] , un’opera della quale Jack Nilles, ex ingegnere della NASA, è l’autore principale.
Da qui viene fuori il termine telecommuting (telelavoro) , e l’idea di decentrare il lavoro dagli uffici situati nei grossi centri ad uffici satellite, per evitare il traffico e far fronte alla crisi petrolifera del ’73[5] .
Nel piano di Nilles non erano ancora concepiti computer e internet, ancora in fase sperimentale. Tuttavia di lì a poco cominceranno i primi esperimenti, con la IBM (1979-83) e le prime esperienze coworking, il cui antesignano è il C-base di Berlino (1995).
Ma decisivi per il telecommuting saranno due passaggi: l’avvento dei social media , in particolare la piattaforma Slack (2016) che facilita la collaborazione a distanza; il Covid-19, con le videochiamate (pensiamo al successo di Zoom), e le vere e proprie pratiche di smart working adottate dai paesi investiti.
Venendo a Nilles e alla sua opera, si riflette sul fatto che: “Con una riduzione del tempo e della distanza del pendolarismo, le persone sarebbero in grado di trascorrere più tempo con le loro famiglie e gli amici e utilizzare mezzi più sani per recarsi al lavoro, come andare in bicicletta e camminare.”[6]
Invece, riguardo i mezzi: “All’epoca in cui la storia è stata scritta tali meraviglie tecnologiche erano fantasia; oggi vengono accettati come luoghi comuni da molti americani […] la tecnologia non era il fattore limitante nell’accettazione del telelavoro […] i cambiamenti culturali organizzativi e gestionali sono stati molto più importanti nel tasso di accettazione del telelavoro. Era così nel 1974 e lo è ancora oggi. L’adozione del telelavoro è ancora ben al di sotto del suo potenziale.”
Smart working: il senso
Il senso dello smart working è quello di dare ai lavoratori responsabilità, flessibilità ed autonomia grazie ad una gestione personale dei tempi e dei luoghi, l’ausilio della tecnologia e la costruzione di una nuova cultura organizzativa .
Infine, un aumento della soddisfazione personale per la gestione della propria giornata nel modo più opportuno.
Un altro degli obiettivi dello smart working è quello della riduzione delle emissioni di Co2, proprio grazie alla riduzione della mobilità casa-lavoro da parte del lavoratore.
E già Nilles, nell’epoca in cui si combatteva l’embargo petrolifero arabo e la derivante crisi energetica, ammoniva: “Fino all’inizio degli anni ’70, l’economia degli Stati Uniti funzionava come se l’espansione dell’industria automobilistica e la crescente dipendenza dall’automobile fossero destinate a continuare indefinitamente.”
E infine: “Ora siamo a un punto di decisione come società; dobbiamo decidere se il modo di vivere reso possibile dall’automobile dall’inizio del secolo continuerà (o potrà) continuare, o se dovremmo considerare modi alternativi o modificati di lavorare, comunicare e vivere.”
Smart working: diffusione
Uno studio della professoressa Fausta Guarriello, ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Chieti e Pescara, la quale ha messo a confronto i dati di Francia, Spagna, Olanda e Italia.
Questi i dati in merito la diffusione dello smart working paese per paese:
Italia, dove l’emergenza da Covid-19 ha portato il 25-30% dei lavoratori subordinati nella modalità smart working, mentre prima di essa ci si attestava intorno al 2-3%, diversamente da alcuni paesi del nord Europa dove si giungeva al 18-20%
Francia, che è passata dall’8.4% del 2009 (indagine del Centre d’analyse stratégique) al 25% tra marzo e aprile 2020
Olanda, dove all’inizio dell’emergenza circa il 45-56% lavorava da casa. Olanda da sempre paese leader per il lavoro da remoto, il 13.7% nel 2017, seguita da Lussemburgo 12.7% e Finlandia 12.3% (dati EuroStat). È proprio quest’ultima già nel 2019 ad aver approvato lo Workinhg House Act, e ad affermarsi come paese leader in Europa sul tema del flexible work
Spagna, dove la regolamentazione emergenziale ha creato una nuova disciplina del lavoro permanente che ha capitalizzato i frutti dell’emergenza.
Se nel 2019 solo il 4.8% circa lavorava da casa, in meno di un mese dall’inizio dell’emergenza si è passati al 16.2%
Ma nel 2023, la classifica dei paesi nei quali più di tutti conviene fare smart working , in base a costo della vita, comodità, tassazione e facilità con la quale accedere ai servizi sono: Portogallo, Spagna, Panama, Giappone e Costa Rica[7] .
Smart working: le norme
Dal punto di vista delle norme, invece, abbiamo la seguente panoramica:
Cina, che non ha norme specifiche[8]
Croazia, dove le leggi di riferimento sono tre (2014, 2017, 2019)
Francia, dove il télétravail trova applicazione in alcuni casi specifici ed è regolato da due accordi nazionali intersettoriali (2005 e 2020)
Germania, dove non è normato
Danimarca, normato solo dal 2021
Finlandia, dove dipende da mansioni e ruolo
Lettonia se ne parla nel contratto di lavoro, che è il testo di riferimento in materia di rapporti subordinati
India, dove non c’è nulla di specifico, ma una proposta di quattro codici per rinnovare l’intero impianto
Emirati Arabi, con linee guida sono state emanate durante l’emergenza Covid, ma sono rientrate poi alla fine
Inghilterra, dove l’espressione usata è remote working, o flexible working, o mobile working, new ways of working , nel 2014 è in vigore la Flexible Working Regulation che da il diritto alle persone di richiedere tale modalità, richiesta che può essere accettata o rifiutata sulla base di motivazioni valide[9] . È qui presente una cultura diversa legata a tale pratica, molto più orientata al benessere delle persone e al ridurre l’uso degli spazi fisici, ed anche più vecchia rispetto all’emergenza Covid-19 e organica alla legislazione di lavoro nazionale
Belgio, che se fino al 2019 non era sentita la necessità di una vera e propria legge sul tema, la disciplina già nasceva nel 2005, e prende importanza nel 2019 con una vera e propria legge
Svizzera, dove per via del problema dei trasporti nelle ore di punta e già prima del lockdown vi era il 25% dei lavoratori in smartworking
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Webinar & Live Q&A – 22 Giugno
Smart working: normativa italiana
In Italia, lo smart working è stato disciplinato per la prima volta nel maggio 2017, ma attraverso la normativa sulla flessibilità del lavoro e in particolare sul telelavoro già nel 2014.
Il Covid-19 è stato il migliore alleato della diffusione dello smart working , divenuta pratica sistemica dalla pubblica amministrazione alle aziende pubbliche e private e persino nelle scuole (volendo considerare la didattica a distanza anch’essa smart working).
Si legge dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: “Il lavoro agile o smart working non è una diversa tipologia di rapporto di lavoro, bensì una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato introdotta al fine di incrementare la competitività e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.[10] “
La disciplina di riferimento è la Legge 22 maggio 2017, n. 81 (articoli 18-24)[11] , come da ultimo modificata dalla Legge 4 agosto 2022, n. 122 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 giugno 2022, n. 73, c.d. Decreto Semplificazioni).
Si legge sempre dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: “La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva (art. 18, comma 1). Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa (art. 18, comma 2). I lavoratori in smart working hanno diritto alla tutela prevista in caso di infortuni e malattie professionali anche in relazione alle prestazioni rese all’esterno dei locali aziendali e nel tragitto tra l’abitazione ed il luogo prescelto per svolgere la propria attività (si veda, al riguardo, la circolare INAIL n. 48/2017[12] ).”
Smart working: rischi e problemi
Come ogni processo trasformativo, soprattutto di impronta tecnologica, il passaggio allo smart working non è esente da rischi e da problemi , molti dei quali sono sicuri ed accertati.
Innanzitutto, la questione del tempo di lavoro, il fatto stesso di poter gestire da sé il proprio tempo di lavoro da parte del lavoratore può diventare un’arma a doppio taglio.
Se con la modalità classica il lavoratore dedica al lavoro solo il tempo in cui si trova in ufficio, ora, la giornata lavorativa, attraverso tutta quella serie di imprevisti, di complicazioni, o anche di semplici prolungamenti potrebbe non avere confini e degenerare in un prolungamento che va ben oltre i tempi una volta dedicati nel solo ufficio.
Questo già avviene oggi, con l’utilizzo di smartphone, messaggerie, social network, chat, il lavoratore è in realtà sempre immerso nel suo lavoro h24 (pensiamo al peso che hanno i gruppi whatsapp nel mondo della scuola, dei colleghi di lavoro, o anche il rapporto continuo che c’è tra datore di lavoro e sottoposti proprio attraverso questo dispositivo).
Ma, ancora, rischi possibili possono derivare da tutto quel sistema di controllo impiantato appositamente per questa nuova modalità, meccanismi che possono bypassare l’idea dell’essere soli in casa a lavorare, ma che hanno comunque la necessità di fornire orari, dati e relativi controlli.
L’importanza di avere un consulente marketing esterno
Che cosa pensano i lavoratori dello smart working
Fondamentale è il giudizio dello smart working che hanno i lavoratori, i quali hanno fatto esperienza di questo modello prevalentemente grazie ai provvedimenti legati al Covid-19.
Da una survey effettuata dopo il primo lockdown e poi nella primavera del 2021 e inserita nel volume Il lavoro da remoto. Aspetti giuridici e sociologici (2022)[13] , viene fuori che il 56% degli intervistati si è sentito più autonomo e in grado di gestire meglio i tempi di lavoro.
Ma i due terzi ritengono che il carico di lavoro sia aumentato in questa modalità, in particolare quello serale, o nei week end, una vera invadenza della vita privata.
Mail e telefonate anche la sera (46,8% qualche volta e 26,2% spesso, contro il 39,2% e 17,3% in presenza) e durante la pausa pranzo (47,9% qualche volta e 40% spesso contro il 52% e 25,3% in presenza), cosa dovuta prevalentemente alle gestione del tempo di lavoro e alla comodità/condizionamento di avere i dispositivi di connessione a portata di mano e magari sempre in funzione.
Proprio riguardo il tempo di lavoro, solo il 35% ritiene che venga effettivamente misurato da remoto, mentre in presenza lo è per il 55,1%; per il 79,1% degli intervistati invece vi è un controllo invariato mentre per l’11,7% è aumentato e per il 9,2% diminuito.
Pur tuttavia vi è un rischio concreto, riferito da diversi lavoratori, derivante dal meccanismo di controllo insito in alcuni dispositivi (es. Skype, Meet, Teams, Zoom, ecc.), dove la presenza, l’assenza, ecc. è segnalata dalla stessa piattaforma.
A ciò si aggiunge un certo quantitativo di stress dovuto all’utilizzo specifico dei suddetti.
Smart working: problemi collaterali
Infine, va calcolato l’impatto che quella che viene definita come transizione può assumere sulla vita socio-economica di un paese.
Intorno alle attività lavorative (uffici, aziende, scuole, ecc.) vivono altrettante attività commerciali , di ristorazione, immobiliari che nel modello smart working risultano per forza di cose penalizzate , per il semplice fatto che si lavora da casa, e senza la necessità di pranzare, cenare, fare acquisti vari oppure prendere affitto nei pressi del luogo di lavoro.
Ed è proprio questo il danno subito dalla città di New York, 12.4 miliardi in meno di un anno, per la riduzione di pendolari a Manhattan (dati del team di ricerca WFH dell’economista dell’Università di Stanford Nicholas Bloom ).
Ovvero, risparmio delle spese per i lavoratori, ma danno per ristoranti, bar, club, palestre, saloni di bellezza, parrucchieri, negozi al dettaglio, eventi sportivi e concerti.
E non è solo un problema dei servizi privati, ma anche di quelli pubblici , visto che diminuiscono anche le entrate fiscali, e dunque, vi è una necessità di tagliare anche i servizi comunali (riduzione assunzioni e tagli per agenti di polizia, vigili del fuoco, addetti alla nettezza urbana, personale dei trasporti pubblici, infermieri e insegnanti).
Altre curiose problematiche e lamentele sono riscontrate negli USA , ma legate più al lato aziendale, con dipendenti che accettano fino a 4 lavori per il fatto di avere più tempo a disposizione[14] , oppure al lato politico, in quanto lo smart working favorisce in qualche modo una settorializzazione della società, una tribalizzazione dove il simile preferisce vivere con il simile, e non ha nemmeno più necessità di incontrare, per il lavoro in ufficio, ciò che è dissimile da sé[15] .
In altre parole i repubblicani coi repubblicani e i democratici coi democratici, e in questo momento storico, una tale separazione costituirebbe un grave danno per determinati assetti del potere (profondo) americano.
Webinar & Live Q&A – 6 Dicembre dalle 16:00
Smart working: le opportunità
Ma dall’altro lato lo smart working può costituire un’opportunità di emancipazione, un’emancipazione lavorativa che può essere però solo ed esclusivamente connessa ad una emancipazione individuale.
Laddove questa connessione è presente, integrando i due aspetti in un modello auto-imprenditoriale, dove lavoratore è padrone innanzitutto oltre che del proprio stesso lavoro, della propria professionalità, della propria competenza, unica e irripetibile. Ed è proprietario del proprio tempo, anch’esso unico e irripetibile.
E proprio sulla padronanza del proprio tempo verte l’occasione dello smart working da noi evidenziata, tornare a comprendere che il vero valore non è il lavoro ma il tempo, e che solo una saggia gestione del proprio tempo può essere il veicolo delle proprie qualità, dei propri talenti e quindi anche del proprio lavoro.
In altre occasioni abbiamo riferito di una possibile svolta del paradigma economico-lavorativo , basata su una fusione tra lavoro e piacere, sulla espressione dei propri talenti innati attraverso l’attività economico-lavorativa, che non risente più dunque del peso di dover lavorare per pagare la bolletta, bensì del rispetto della propria vocazione, del proprio dharma (destino), come unica fonte di affermazione nella vita – anche economica che viene di conseguenza.
Il tempo: il vero valore
Il valore del tempo può essere riscoperto grazie al lavoro agile. Non essendo più inscatolato in ritmiche e procedure standardizzate, o meglio che può evolversi al punto di fuoriuscire da ritmi e procedure standardizzate.
Può avvenire anche quella liberazione formale che permette di riagganciare l’attività economico-lavorativa ad una sana gestione del proprio tempo.
Una rivoluzione, che potrebbe rientrare in quella differenza che il filosofo Henry Bergson, richiamandosi ad Edmund Husserl, effettuava tra tempo interiore, la durée , e tempo esteriore, il tempo convenzionale.
Mentre quest’ultimo era dettato sostanzialmente dalla condizionalità esterna e scandito su un modello frazionato, schematico, (passato-presente-futuro), che lo rende sfuggente alla presenza e all’azione del soggetto.
Il tempo interiore è invece integralmente calibrato sul soggetto , sul suo flusso interno, aderendo sostanzialmente al suo tempo personale di evoluzione e di realizzazione, e che va da dentro a fuori , e che ricollega anche il fuori, e dunque tutte le attività del mondo (compresa quella lavorativa) al dentro.
E dunque alle sue qualità naturali, che sono inevitabilmente dentro il soggetto, secondo quella fenomenologia che lo stesso filosofo definiva elan vitàl .
Vi è una saggezza premoderna in queste filosofie, lo spostare il baricentro dell’esterno all’interno del soggetto , e del tempo stesso, visto in un flusso continuo.
Un presente continuo che inevitabilmente richiede la capacità di restare inchiodati nel qui ed ora, come unica fonte di potere, in ambito creativo, vitale, e pure professionale-lavorativo.
“Lo smart working può costituire un’opportunità di emancipazione lavorativa ed individuale. Il lavoratore è padrone del proprio stesso lavoro, della propria professionalità, della propria competenza, unica e irripetibile e del proprio tempo.”
Dipendenza o lavoratore guerriero
Questo modello può generare due possibilità , quella della totale dipendenza dalla macchina lavorativa, oppure la nascita di una specie di figura ascetica: il lavoratore guerriero.
Questa doppia possibilità, in negativo o in positivo, che può essere aperta dallo smart working conduce dunque a livelli più profondi di realizzazione. E che vanno al di là del piano meramente lavorativo.
Se da un lato, lo smart working può diventare la pietra tombale e definitiva del lavoratore , dipendente in maniera integrale e totalizzante dalla macchina lavorativa, che gli penetra fin dentro casa, che lo occupa sin dentro casa, che lo guarda sin dentro casa. Che ne prende il tempo, assorbendo la vita del lavoratore permanentemente condizionato da quello di lavoro, che non ha più limiti alcuno.
D’altro canto, però, uno sganciamento del lavoratore dalla macchina lavorativa, e quindi la fuoriuscita dal lavoro dipendente, può invece portare ad una progressiva ma integrale emancipazione del proprio lavoro e del proprio tempo , imparando a gestire quest’ultimo con disciplina, costanza e dedizione.
L’auto-imprenditorialità, la responsabilizzazione individuale del soggetto, come definita da Ulrich Bech, analista della modernità riflessiva o postmodernità – ovvero il tempo che viviamo – e che sta alla base di un cambio di paradigma.
L’imprenditore di se stesso, come figura rivoluzionaria del XXI secolo , una specie di nuovo agente dei processi di trasformazione socio-politica, così come il proletario di marxiana memoria, che seguendo tutto il processo di evoluzione industriale lascia la fabbrica per il lavoro agile, emancipandosi dagli stessi meccanismi di dipendenza ed alienazione, divenendo così proprietario ed erogatore del suo stesso lavoro/essenza.
Su un altro piano ancora, la rivitalizzazione della casta vaishya , la casta dei produttori, secondo l’antico schema dell’India vedica, nella quale si è produttori per natura, e che con il progresso tecnologico a disposizione può portare a notevoli capacità di creazione.
Webinar & Live Q&A – 17 Novembre dalle 16:00
Smart working: un modello integrato
In ultima analisi, lo smart working può rappresentare una integrazione a più livelli.
Innanzitutto abbiamo visto il piano meramente lavorativo agile, domestico , e che è in grado di emancipare, liberare, il proprio tempo e la propria individualità nel modello dell’auto-imprenditore.
A livelli più sottili, poi, giungiamo al recupero della qualità innata del produttore , una specie di recupero del carattere arcaico della figura (il vaishya ), che però si lega al progresso tecnologico, con l’uso dei più recenti dispositivi.
Una figura integrata , dunque, sul modello jungheriano de l’Operaio[16] : il guerriero contemporaneo alle prese con le forze titaniche della tecnica.