Daniel Casarin – Imprenditore ed analista indipendente, si dedica al mondo della comunicazione, del marketing, del business design e della trasformazione digitale.
Le narrazioni sono in crisi da tempo. Da bussole capaci di dare senso all’esistenza collettiva sono ormai diventate una merce come tutte le altre. Ridotte ad ancelle del capitalismo, si trasformano in storytelling e lo storytelling, ormai ubiquo, scade nella pubblicità, nel consumo di informazioni.
La crisi della narrazione
Ecco uno dei tanti e piacevoli saggi brevi di quel filosofo contemporaneo additato di essere “reazionario”. Mi riferisco a Byung-Chul Han che ne “La crisi della narrazione” presenta la sua nuova analisi spietata del nostro tempo, dominato dalla frammentazione dell’informazione e dalla mercificazione delle storie.
Han denuncia l’erosione del significato profondo della narrazione, sostituita dallo storytelling superficiale, ridotto a un prodotto di consumo. In un’era in cui il “dato” sovrasta il “racconto”, perdiamo la capacità di costruire connessioni, dare continuità temporale e attribuire un senso alla nostra esistenza.
La narrazione è più di un mezzo per comunicare: è un atto esistenziale che trasforma l’angoscia dell’essere nel mondo in una familiarità con l’esistenza.

Crea legami, unisce passato e futuro, e ci permette di resistere all’alienazione (indotta dalla digitalizzazione). Nell’era post-narrativa, il flusso incessante di informazioni frammentarie ci priva della capacità di riflettere, ricordare e costruire significati duraturi.
La memoria, per Han, è il cuore della narrazione: solo selezionando e reinterpretando il vissuto possiamo creare storie dotate di un’aura di verità.
L’autore con la sua tipica scrittura categorica, quasi lapidaria, evidenzia la deumanizzazione in atto: l’essere umano, ridotto a una somma di numeri e istanti, perde la propria dimensione narrativa e la capacità di vivere pienamente. Perde un atto curativo.
Immancabile.